Tutti i numeri del caro benzina in Italia

Secondo Nomisma Energia, un pieno da 50 litri costa quasi due euro in più rispetto alla media europea. Diversificazione troppo scarsa: solo una stazione su 5 vende altro

Tutti i numeri del caro benzina in Italia

Milano - L’italiano-tipo, che alla stazione di servizio fa il pieno alla sua utilitaria con il classico rifornimento da 50 litri di benzina, spende quasi due euro in più rispetto al cittadino europeo.

Per la precisione, in confronto alla media comunitaria il costo è maggiorato di 1,9 euro. Soldi che, al netto dell’imposizione fiscale, vengono sborsati a causa della particolare struttura del mercato distributivo italiano. Un mercato che, nel grande business dell’erogazione di carburante, sconta soprattutto l’assenza dei supermercati, veri panzer che negli altri Paesi europei hanno contribuito a colpi di concorrenza ad abbassare i prezzi, e soffre in maniera acuta la poca diffusione dei self service ultra-automatizzati, quelli dove uno si rifornisce, lascia la macchina in coda e va alla cassa a pagare da solo.

È questo il risultato di uno studio commissionato a Nomisma Energia dall’Unione Petrolifera. Una analisi che ha quantificato in 38 centesimi al litro la differenza di prezzo della benzina italiana rispetto all’Unione europea: quasi due euro a pieno. Non una cifra irrilevante. Le inefficienze influiscono tanto: secondo Nomisma, a pesare sul sovrapprezzo per il 40% è la rarità dei self service (in Italia sono il 21% dei punti vendita, contro il 90% della Francia, il 95% della Germania e il 100% della Scandinavia). Quindi, avere il «servito», cioè il benzinaio che ti dà anche una controllatina all’olio e pulisce bene il vetro, alla fine costa. Sul sovrapprezzo, conta invece per il 28% la rigidità. Prima di tutto gli orari rigidi, burocratizzati e ultrasindacalizzati, che fanno sì che l’automobilista trovi una stazione in funzione per 10 ore al giorno, contro le 14 ore di attività media in Europa. Stazioni che hanno il cartello «aperto» per 280 giorni all’anno al massimo, contro i 350 della Francia, i 360 della Germania e i 364 giorni dell’ultraliberalizzata Gran Bretagna. Quindi, c’è il problema della mancata diversificazione. Gli scaffali hanno anche altri prodotti in una stazione su cinque, mentre questo succede nel 96% dei casi in Germania e nell’85% in Inghilterra. «Alla fine - osserva Davide Tabarelli, curatore della ricerca - gli automobilisti olandesi, tedeschi e svedesi pagano di meno perché chi, su quelle strade, eroga loro la benzina guadagna già buone cifre vendendogli anche il giornale, la tazzina di caffè e il litro di latte. Per questo, può tenere i margini finali sulla benzina più bassi».

Ci sono poi caratteristiche strutturali. Se apprezzate il fatto che trovate molte stazioni di rifornimento, sappiate che questa capillarità della rete, alla fine, pesa per un quinto sui quasi due euro che pagate in più di ogni altro cittadino comunitario. Il numero è il più alto d’Europa: all’inizio dell’anno scorso, se ne contavano 22.400. «Il vantaggio - dice Tabarelli - è che, in un Paese dove la popolazione vive soprattutto in provincia e fuori dalle grandi città, c’è un distributore quasi a ogni angolo. Lo svantaggio è che i costi fissi sono alti e non è possibile per i più piccoli abbassare i prezzi».
Un altro deficit della nostra rete di distribuzione, che incide per il 10% sul sovrapprezzo a carico dell’automobilista italiano, è costituito dalla mancanza degli ipermercati. Quelli che, in Francia e in Inghilterra, sono riusciti a giocare la partita, tutta a favore del consumatore, della concorrenza sui prezzi.

«I due euro in più a pieno - conclude Tabarelli - dimostrano come la liberalizzazione

del settore, abbozzata dalla riforma Bersani e resa per lo più innocua dai gruppi di interesse in gioco e dal caos regolamentare che gli enti locali hanno contribuito a creare, debba ancora fare notevoli passi in avanti».

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