Tutti i segreti dei manager contro il jet-lag

I più colpiti sono gli uomini d’affari: il «New York Times» indaga i rimedi

Eleonora Barbieri

Il cambiamento di fuso orario non risparmia neppure i presidenti. Quando, a metà giugno, George W. Bush è volato a Bagdad per una breve visita a sorpresa, appena atterrato ha riassunto così il suo stato di salute: «Un po’ jet-lagged».
L’effetto è quello sperimentato da quasi tutti i viaggiatori dopo un lungo volo in aereo: sballottati da un emisfero all’altro, alle prese con orari diversi, molti fanno fatica ad adattarsi ai nuovi ritmi. Così chi è appena sbarcato può essere colpito da un malessere generale, scarso appetito, nausea e difficoltà ad addormentarsi. Il problema non affligge soltanto i turisti alle prese con vacanze esotiche ma, soprattutto, gli uomini d’affari, che si spostano frequentemente su voli transoceanici e, una volta arrivati a destinazione, non hanno tempo di riposarsi e recuperare, perché devono subito immergersi in riunioni e appuntamenti.
I manager, quindi, sono i più interessati ai rimedi possibili ed è per questo che, pochi giorni fa, il New York Times ha dedicato un articolo ai trucchi per superare questa sindrome, che può durare fino a una settimana. Innanzitutto, spiega il quotidiano, esiste una specie di scudo naturale contro il jet-lag, sviluppato da chi è abituato a dormire poco per lunghi periodi: chi svolge lavori con orari notturni, ad esempio, è più facile che riesca a sopportare il cambiamento di orario. Ci sono poi le soluzioni casalinghe: dieta leggera, niente alcolici e vita regolare nei giorni prima della partenza e, una volta in volo, un lungo sonno, grazie a una dose abbondante di sedativi. Per risvegliarsi, poi, basta ingerire una pillola alla caffeina. Il metodo funziona, ma con degli inconvenienti: non ci si può sgranchire le gambe durante il viaggio e, poi, la caffeina può comunque rendere difficile prendere sonno.
Un sistema efficace al cento per cento, finora, non è stato trovato, ma Charmane Eastman, direttrice del Laboratorio di ricerca sui ritmi biologici del Centro medico della Rush University, a Chicago, sostiene di aver scoperto un rimedio definitivo per riassestare il cosiddetto «orologio carcidiano», quello che regola le funzioni dell’organismo in base al tempo (in primo luogo, l’alternanza fra il giorno e la notte). Fondamentali i tre giorni prima del volo, durante i quali bisogna assumere la melatonina (che favorisce il sonno) e, progressivamente, coricarsi sempre un’ora prima alla sera. Una volta sbarcati, poi, è bene immagazzinare più luce possibile: anche se prodotta dalle lampade e non dal sole, ha comunque un effetto positivo sull’umore. Gli aspetti vanno combinati perché, altrimenti, la melatonina lascerebbe sonnolenti per tutto il giorno.
Il journey management, cioè l’organizzazione scientifica dei viaggi d’affari, fa appello anche ai segreti dell’aviazione (anche se, spesso, i piloti non dormono così tranquilli) e persino della Nasa: l’agenzia spaziale ricorre a un’alternanza fra sonnellini di 26 minuti ciascuno e tazze di caffè. Secondo gli esperti, nonostante l’apparente contrasto, funziona: il caffè agisce dopo 15-30 minuti, risvegliando quasi meccanicamente il viaggiatore che, grazie al pisolino, si è rigenerato e riesce a riprendere il lavoro in piena forma.

Gli atleti, invece, sfruttano dieta ferrea, esercizi e il lusso degli hotel a cinque stelle (come sperimentato dai campioni delle ultime Olimpiadi invernali a Torino), con cuscini, materassi speciali, luci soffuse e sveglie non troppo assillanti, per mantenersi rilassati. In caso non funzioni neppure la scienza, i manager si possono consolare: spesso rimangono all’estero per così pochi giorni che, in fondo, non è neppure necessario tentare di abituarsi ai nuovi orari.

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