Unicredit, dopo il Bancone arrivano 4.700 esuberi E Gheddafi sale al 6,7%

La riorganizzazione di Unicredit nel progetto conosciuto come Bancone passa attraverso l’eliminazione di 4.700 posti di lavoro, così da incidere sulla spesa per gli stipendi e tagliare i costi per 770 milioni nel triennio. Gli esuberi sono stati annunciati dall’amministratore delegato Alessandro Profumo alla parti sociali nel primo vertice che apre il confronto sulle modalità della ristrutturazione. Il piano prevede che le uscite dal gruppo vengano spalmate tra il 2011 e il 2013, e che siano pattuiti nuovi inquadramenti con maggiore flessibilità e mobilità per i dipendenti.
La proposta arriva in un momento molto delicato sul fronte occupazionale; da Telecom a Fiat sono tanti i dossier affrontati in quest’estate rovente nei rapporti sindacati-imprese. E il governo mantiene alta la guardia: sul piano Unicredit «sarà doveroso un confronto approfondito e sono vietati in tutti i modi atti unilaterali, le parti dovranno entrare nel merito», ha detto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, a Radio 24. Non a caso, il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, ha bollato come «effetto Marchionne» le richieste provenienti da Piazza Cordusio, per sottolinearne le discordanze dai modelli contrattuali tradizionali di settore. Il mercato non ha avuto particolari scossoni alla quantificazione degli esuberi. Profumo aveva già comunicato sinergie per 300 milioni dal progetto di fusione nella Banca Unica. Si sono invece sentiti, con effetti negativi sull’azione, i giudizi delle case d’affari all’indomani della presentazione dei conti. Gli analisti di SocGen hanno tagliato la valutazione sul titolo da «comprare» a «tenere» in portafoglio, quelli di S&P equity research ne consigliano addirittura la vendita, mentre Jp Morgan ha tolto Unicredit dalla lista dei preferiti. Per tutte la bocciatura riflette sia il lieve deterioramento del rischio, sia la necessaria cautela verso un titolo (ieri -2,7%) che aveva corso molto nell’ultimo mese guadagnando fino a martedì oltre il 20%. Nessuna sorpresa e cambio di rotta, invece, da Ubs e Crédit Suisse che hanno confermato la fiducia al gruppo alla luce dei risultati perlopiù in linea alle stime, e in vista della prossima cessione di Pioneer Investments. Divisione su cui hanno messo gli occhi Bnp Paribas, Natixis e il gestore Amundi.
Non sono solo questi broker a credere nell’operato di Profumo. A fine luglio, infatti, il fondo sovrano libico Lia ha comprato una quota del 2,075% nella banca. È un pacchetto che si aggiunge al 4,61% della Banca centrale libica che, pur rappresentando tecnicamente un’entità a parte, sottolinea il consenso di Tripoli verso l’istituto: ai valori di ieri la quota della sola Lia vale circa 824 milioni che diventano quasi 3 miliardi (2,89 miliardi per l’esattezza) se viene considerata l’intera partecipazione libica: 6,7 per cento.
Ma a rafforzarsi ulteriormente è anche in generale la stretta del mondo arabo, visto che a giugno un fondo riconducibile ad Abu Dhabi aveva rilevato il 4,99% di Piazza Cordusio. Sul piatto della bilancia, quindi, aumenta il peso degli investitori stranieri rispetto alle tradizionali Fondazioni che negli ultimi mesi hanno, in taluni casi, lamentato la politica dei dividendi e la strategia territoriale, pur continuando però ad appoggiare ufficialmente la banca.

La Fondazione Cariverona, apparsa molto critica al momento di varare la Banca Unica, ha infatti il 4,98% ed è tallonata da BlackRock: il gigante del risparmio gestito americano è salito al 4% superando Fondazione Crt (3,31%), Carimonte (3,1%) e Allianz (2%).

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