da Roma
L’affondo dei quattro ministri della sinistra radicale contro Tommaso Padoa-Schioppa, con tanto di «avviso» inviato a Romano Prodi («così non va»), non accende certo grandi entusiasmi nel resto della coalizione. Il segnale è preciso: la sortita di Mussi, Ferrero, Pecoraro Scanio e Bianchi passa attraverso il «tesoretto» e il Dpef ma, in realtà, punta soprattutto a spostare la linea politica dell’esecutivo. E questo i moderati dell’Unione non sono disposti ad accettarlo.
Si muovono in molti, Francesco Rutelli in testa, per dettare la frenata. Ma anche l’Italia dei Valori fa sentire la propria voce con il capogruppo, Massimo Donadi, che giudica «veramente strano che chi chiede collegialità lo faccia sui giornali e non in Consiglio dei ministri. Questo ci sembra un modo indebito per condizionare il governo con metodi che non condividiamo né nella forma né nel contenuto». Clemente Mastella, invece, getta acqua sul fuoco. E invita, «prima di passare al Dpef, a chiudere la partita dello scalone e quindi incoraggiare le richieste dei sindacati che non sono né barocche, né evanescenti, né leziose». Chi, invece, non ha timore di contestare l’approccio usato dalla sinistra radicale è il segretario dello Sdi, Enrico Boselli. «I quattro ministri sollevano un problema di metodo giusto, ma propongono una soluzione sbagliata. Bisogna avere il coraggio di avviare le riforme. È giusto discutere il Dpef insieme. Poi, però, quando entriamo nel merito, ci sono posizioni francamente sbagliate. Ad esempio, l’idea che non si debba fare alcuna riforma in campo previdenziale è profondamente errata. È indispensabile riformare le pensioni».
Se l’Unione galleggia tra l’ira e l’imbarazzo, la Casa delle libertà imbraccia le armi pesanti e mette il dito nelle tante piaghe della coalizione di governo. «Prodi è preso tra tre fuochi: due sono costituiti dai ministri della sinistra radicale e dai ministri moderati che iniziano a farsi sentire. Il terzo fuoco è rappresentato da Veltroni - dice Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore di Forza Italia -. Gli opposti orientamenti dei ministri sono così contrastanti per cui una mediazione è impossibile. Non potrà reggere a lungo nemmeno la dialettica tra Veltroni, dispensatore di sogni, e Prodi, dispensatore di incubi». Ancora più secco il giudizio del portavoce di Silvio Berlusconi, Paolo Bonaiuti: «Quando quattro ministri tutti assieme contestano le scelte economiche del governo e soprattutto il ministro più importante, quello dell’Economia, significa che quel governo, più che alla frutta, è ormai al caffè e all’ammazzacaffè. Questo nei Paesi normali, ma non in Prodilandia, dove tutto si digerisce pur di mantenere le poltrone. Intanto, i grandi giornali fanno finta di nulla preparandosi all’avvento messianico di Veltronilandia che nulla cambierà di questa situazione drammatica, perché la sinistra estrema continuerà a dettare legge e non si farà certo impaurire dagli slogan tipo “I care” oppure “Africa e Internet”». Un giudizio severo, sempre sul fronte di Forza Italia, arriva dal coordinatore Sandro Bondi. «Se vivessimo in un Paese serio, Prodi si dimetterebbe uscendo a testa alta da questa drammatica situazione e Walter Veltroni, invece di recarsi a Barbiana per strumentalizzare la figura spirituale di don Lorenzo Milani, prenderebbe il posto di Prodi alla guida del governo con il dovere di occuparsi seriamente dei problemi del Paese che interessano i cittadini e non di fare le solite chiacchiere».
Le perplessità non dimorano soltanto nel partito di Via dell’Umiltà. Per Pier Ferdinando Casini la lettera dei ministri della sinistra radicale sul Dpef «parla da sola: l’ala radicale del governo, dopo le amministrative, vuole contare di più, mentre il problema, e gli italiani lo sanno, è che l’ala radicale dovrebbe contare di meno. Non credo che nessun evento messianico possa risolvere quelli che a mio avviso sono problemi politici. È una maggioranza con troppe contraddizioni, l’Italia con questa sinistra, che ha un potere di ricatto permanente, può solo andare peggio».
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