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Unipol, lo stato maggiore dei Ds processato anche dai sindaci rossi

Bondi (Fi): «Con il no al patto contro i poteri forti la sinistra perde un’occasione»

Roberto Scafuri

da Roma

Non scende dalla Quercia, il gruppo dirigente ds. Sentendosi sotto assedio, cerca manovre diversive, ma le difese accrescono l’imbarazzo. Viene rigettata la proposta di «santa alleanza» contro i «poteri forti», pervenuta dal coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi: troppa la pressione da parte della sinistra e dei prodiani. Ma è chiaro che così arroccati non si potrà reggere a lungo e che la vicenda Unipol inietta virus non salutari per l’intera Unione. Il verde Pecoraro Scanio sollecita un «codice etico da inserire nel programma dell’Unione per dare una risposta concreta alle ultime vicende». Cesare Salvi ricorda «lo sconcerto diffuso nel partito».
Ma se la preoccupazione serpeggia nelle periferie della coalizione, il centro vive le ultime ore dell’anno in preda al cupo risentimento, con l’orecchio rivolto soprattutto alla Procura di Milano. Romano Prodi, definito «in sereno soggiorno montano», affida al proprio sito un augurio tutto volto alle questioni politiche di una «difficile campagna elettorale, senza grandi mezzi economici», ai mali del Paese e alla volontà di riscatto con «scelte radicali di cambiamento». Ma soprattutto rivolge un appello all’unità e alla coesione per percorrere «la nostra maratona: dovremo percorrerla tutta, fino in fondo, superando i momenti difficili che non sono mancati e non mancheranno...».
Messa così, rischia di essere fraintesa come una via crucis, almeno per i Ds, chiusi come sono nella morsa. «Bene hanno fatto a respingere seccamente il patto scellerato e impudente proposto da Bondi», li consola il prodiano Monaco. «La sinistra perde un’altra occasione», commenta invece Bondi, convinto del «dovere morale» dei «grandi partiti popolari e democratici» a reagire al «progetto tecnocratico e a-democratico messo in atto da grandi gruppi economici e finanziari di ridisegnare la mappa del potere in Italia». Cosa che non significa «scappare di fronte alle proprie responsabilità e legittimare, quando vi sono stati, comportamenti illeciti». A Monaco replica più direttamente il vicecoordinatore Cicchitto: «Dopo quello che stiamo leggendo e apprendendo, tutto può fare il centrosinistra tranne che cavalcare la questione morale».
Il peso della responsabilità ricade ancora una volta sulla Quercia. A Violante e Brutti tocca l’ingrato compito della difesa delle torri. «Nessun errore, non abbiamo scheletri nell’armadio - dice Violante -. Non abbiamo sottovalutato nulla, né tantomeno abbiamo fatto patronage nei confronti di Consorte: gli illeciti, se reali, sono personali...». Ma la vecchia guardia del partito non ci sta. Emanuele Macaluso, dopo Napolitano, dice a chiare lettere che «forse avere un conto milionario di favore nella banca di Fiorani per giocare in Borsa su titoli raccomandati non è reato, ma è riprovevole. Se Violante non l’ha rilevato, né criticato, a sbagliare è lui». Di «spregiudicatezze ed errori» parla anche il sindaco di Torino, Chiamparino, mentre quello di Bologna, Cofferati, si limita a sollecitare una «riflessione profonda sulla governance del mondo cooperativo».

Salvi ribadisce che la sinistra deve pretendere per se stessa «rigore e fermezza in modo ancora più fermo» degli altri, e che «è un errore politico pensare di poter competere su quel terreno e qualcuno dovrà renderne conto». Il vicepresidente del Senato chiede di aprire una discussione nei «nostri organismi dirigenti». Chissà se verrà mai ascoltato.

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