Usare i caschi blu dell'Onu per proteggere e difendere i Patrimoni dell'umanità.
La proposta d'istituire missioni armate per garantire la protezione dei tesori artistici arriva dai padiglioni dell'Expo. A lanciarla è Irina Bokova, battagliera direttrice generale dell'Unesco e portabandiera di un'autentica crociata contro i crimini dello Stato Islamico.
«Abbiamo i Caschi blu, usiamoli. Chiediamo, con forza, di includere tra le missioni dell'Onu la responsabilità di proteggere i beni culturali. Del resto non sarebbe una novità l'abbiamo già fatto in Mali», spiega la Bokovo sottolineando come la protezione di quei beni debba essere al centro dell'agenda internazionale.
Nella visione della direttrice generale dell'Unesco, ribadita durante la visita del 31 luglio ai padiglioni dell'Expo di Milano, siamo di fronte a «tentativi sistematici di cancellare memorie e identità... Siamo di fronte a degli autentici crimini di guerra messi in atto per cancellare la nostra storia e il nostro patrimonio culturale».
Per l'ex ministro degli Esteri della Bulgaria - candidata, secondo le voci del Palazzo di vetro, alla carica di prossimo segretario generale dell'Onu - le imprese del Califfato sono l'ultimo atto di un disegno avviato quindici anni fa.
«I primi segnali sono la distruzione dei Buddha di Bamyan ordinati dai talebani. A quel tempo il mullah Omar spiegava che i musulmani devono essere orgogliosi di infrangere degli idoli. Nel 2012 mentre altri gruppi distruggevano i mausolei e le mosche di Timbuktu un loro comandante arrivava a negare l'esistenza di un'eredità mondiale. Non sono più casi singoli. Siamo di fronte a una strategia coerente e ben organizzata di pulizia culturale». Una strategia senza precedenti - insiste la Bokova - per vastità e impegno. «Hatra e Ashur, due dei quattro patrimoni dell'umanità sotto la protezione dell'Unesco in Irak, sono stati già distrutti e altri nove siti sono stati demoliti. In Siria i sei patrimoni dell'umanità dell'Unesco sono stati danneggiati dai combattimenti. Quattro, tra cui le zone antiche di Damasco ed Aleppo, sono seriamente compromessi. Altri otto siti candidati a entrare nelle nostre liste sono stati danneggiati, distrutti o colpiti da saccheggi e scavi illegali. In Libia almeno otto fra centri ed edifici religiosi sono stati attaccati o abbattuti. E tutti sono seriamente a rischio».
La vastità e l'impegno profuso dallo Stato islamico fa pensare a una strategia che prevede «la persecuzione su base culturale e religiosa delle varie comunità nel tentativo di distruggere le diversità segno distintivo di quelle regioni».
Anche i sistematici saccheggi e i traffici illeciti di beni culturali utilizzati dai terroristi per finanziarsi rientrano a pieno titolo nel tentativo di imporre una visione totalizzante al resto del mondo. «La pulizia culturale - sostiene la Bokova - punta a eliminare qualsiasi fonte di diversità e pluralismo per sostituirle con una visione ristretta e limitata della società che non accetta l'idea di tolleranza... Questi attacchi non sono più una semplice questione culturale, ma rappresentano una questione legata alla sicurezza. Tutto ciò richiede nuovi modi di pensare e agire. Dobbiamo mettere insieme coalizioni in grado di far fronte agli imperativi culturali legandoli alle questioni della sicurezza e dell'emergenza umanitaria». Le basi normative già esistono. Tra le più importanti la Bokovo ricorda la convenzione dell'Unesco del 1954 sulla «protezione della proprietà culturale nei conflitti armati» che «proibisce di colpire o utilizzare per scopi militari antichità e centri culturali» o quella del 1970 «per colpire i traffici illeciti dei beni culturali».
Lo «statuto di Roma della Corte criminale internazionale - aggiunge la Bokovo - elenca tra i crimini di guerra la distruzione ingiustificata e intenzionale di centri religiosi culturali e artistici».Il mondo libero ha già, insomma, gli strumenti per preservare la propria identità e la propria libertà. Deve solo capire - fa intendere la direttrice dell'Unesco - se ha voglia di utilizzarli e di difendersi.
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