Eleonora Barbieri
da Milano
È al centro del dibattito, non solo perché è un bestseller, ma perché tocca (e prova a ribaltare) due millenni di storia occidentale. Il codice da Vinci, l'opera di Dan Brown che ha superato i cinquanta milioni di copie vendute, si è ritrovato nel ruolo di protagonista anche ieri, all'inaugurazione del Salone del Libro di Torino. L'arcivescovo del capoluogo piemontese, il cardinale Severino Poletto, non si è trattenuto: «Mi ha fatto ribrezzo, non si può romanzare la vita di Gesù Cristo». La storia è una cosa, le invenzioni tutt'altra.
Un parere condiviso dal ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione: «Trovo che sia disonesto presentare come storia vera di Cristo una fiction romanzata». Il cardinal Poletto ha precisato di aver letto il libro soltanto «a spizzichi»: ed è stato più che sufficiente. Molti del resto hanno soltanto sentito parlare delle teorie di Dan Brown e delle sue cause legali, orecchiando dissertazioni su Maria Maddalena e l'Opus Dei. Il libro, però è stato trasformato in film da Ron Howard e sarà presto al cinema, a disposizione dei curiosi senza tempo o voglia di leggerlo. Perciò, anche in vista dell'uscita (in Italia il 19 maggio) il quotidiano Avvenire ha voluto ribadire la posizione della Cei: «Boicottate le sale», secondo l'invito già rivolto da monsignor Angelo Amato, segretario della Congregazione per la dottrina della fede.
La diserzione, chiarisce il giornale, è perseguita «in nome della tolleranza»: e infatti un editoriale di ieri si intitola proprio «La libertà di sottrarsi alla gigantesca impostura». Un bestseller che assume i contorni di «una cinica operazione commerciale sulla pelle di milioni di cristiani»: perché il successo è dovuto proprio alle radici di milioni di persone, una specie di «abc culturale» senza il quale «Dan Brown sarebbe ancora nel natìo New England a scrivere gialli per libretti da due dollari». Il boicottaggio non è però condiviso da tutti: un gruppo di cattolici britannici, fra cui Austin Ivereigh, portavoce dell'arcivescovo di Westminster, ritiene che il film «non sia una minaccia, bensì un'opportunità: considerarlo pericoloso significa attribuirgli un peso teologico che non ha». Spetta al pubblico decidere se andare al cinema o no, anche se la Sony Pictures avrebbe dovuto specificare «che si tratta di un'invenzione, e non della realtà». Ma la casa produttrice non ha raccolto l'invito.
L'ultima arma di cui alcuni «militanti» americani è quella dei picchetti davanti alle sale, definita ieri da Giulio Andreotti la «legione della decenza»: «Se non ci fossero stati il libro e il film sarebbe stato meglio - ha spiegato ieri il senatore a vita -. Si sta facendo un grande battage, ma per fortuna noi cristiani abbiamo anche un po di carità e non partiamo lancia in resta». È la linea dell'Opus Dei - ovvero il «cattivo» del romanzo - che ha deciso di non intraprendere alcuna battaglia ma, piuttosto, di ribadire la propria verità, creando anche una sezione del suo sito dedicata al Codice: menzogne e imprecisioni del libro e domande e risposte sulle figure principali della storia evangelica (e non browniana). Il ruolo del malvagio, poi è da sempre il migliore: tanta pubblicità in negativo vale alla Prelatura cattolica centinaia di e-mail quotidiane di aspiranti aderenti e una fama tale da aver spinto la rivista Time a ribattezzare l'opera The Opus Dei Code in una recente copertina. Il tutto investendo pochissimo, a differenza dei produttori.
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