Vaticano assediato, prudenti gli ebrei

RomaPer capire le differenze che esistono tra la comunità ebraica italiana e quelle presenti nelle altre nazioni europee e negli Stati Uniti può essere utile mettere a confronto le dichiarazioni del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e quelle del segretario del consiglio degli ebrei tedeschi Stephan Kramer a seguito della parole espresse dal frate cappuccino Raniero Cantalamessa durante la liturgia del Venerdì Santo. Il paragone tra l’antisemitismo e la persecuzione mediatica nei confronti della Chiesa non è piaciuto. Ognuno, però, reagisce in modo diverso dimostrando quanto variegato sia il mondo ebraico e quanto sfumate le posizioni. Kramer parla di parole «oscene e ripugnanti», Di Segni alza gli occhi al cielo e mormora una citazione a doppia lettura: «prego Dio che illumini i loro cuori».
Di Segni è la guida spirituale della più longeva comunità dai tempi della Diaspora. Tanto che è divenuto un detto popolare che gli ebrei romani sono più antichi degli antichi romani. Una comunità forte e coesa ma non così grande e influente come si tende a credere. Se si guarda ai numeri, la comunità romana (comunque la maggiore in Italia) conta poco meno di 20mila iscritti. Mentre all’estero nelle capitali e nelle grandi metropoli si arriva anche a cifre a cinque zeri. In Italia gli iscritti alle comunità sono meno di 40mila. È un paradosso ma la loro forza arriva dalla loro debolezza. Il peso politico se lo sono guadagnato per la loro necessità di «difendersi» e di conservare buoni rapporti con tutti. Ed è per questo che non esiste (soprattutto a Roma) una fazione «pro Vaticano» (e tantomeno una «contro»). Nella capitale il leit motiv è la prudenza diplomatica. Tutte le «esternazioni» d’Oltretevere vengono semplicemente considerate come osservazioni che riguardano la comunità cattolica («sono solo fatti loro»). Al massimo si può arrivare a un gesto isolato e comunque carico di sensibilità politica come quello del rabbino capo di Milano Giuseppe Laras che nel 2005 rassegnò le dimissioni in polemica con il Vaticano e con la sua difesa di Pio XII. Visto che le questioni storiografiche e teologiche sono materia al massimo per eruditi, è la «politica» intesa come agire sociale che fa sì che i media tengano gli occhi puntati sui rappresentanti delle comunità. E in queste qualcosa è profondamente cambiato negli ultimi trent’anni. Fino ai primi anni Ottanta, infatti, vigeva un assioma tanto accettato quanto tacito: l’unica «militanza» (sempre personale) consentita era quella a sinistra. Poi c’è stato il ciclone Berlusconi che ha rivoluzionato il concetto di destra e soprattutto c’è stata la sua visita in Israele e la visita che nello stesso Paese ha fatto Gianfranco Fini, ancora come leader di Alleanza Nazionale.
Se però si prova a sondare il terreno direttamente, è tutto un mettere le mani avanti. Il concetto di destra e sinistra - ripetono - non esiste. L’unico spartiacque è «pro» o «contro» la politica israeliana. Tanto che la lista di Riccardo Pacifici (ora capo della comunità romana) si chiama «Per Israele». Ed è questo a fare la differenza. Tutto ebbe inizio nell’82. Il 9 ottobre un attentato davanti alla sinagoga di Roma causò la morte di un bambino di due anni e il ferimento di 37 persone. È stato lo stesso Pacifici (considerato dai «gentili» uomo di destra) a ricordare quel tragico episodio non più tardi di due settimane fa quando ha incontrato Emma Bonino. L’esponente radicale insieme con Pannella e Giovanni Spadolini furono gli unici a correre sul luogo della tragedia. In quel frangente lo stesso Pacifici rischiò di divenire orfano. Da allora le comunità hanno iniziato a difendersi e a scoprirsi orgogliosi della sintonia con Israele.
Un tempo l’intellighenzia ebraica (soprattutto torinese e milanese) viveva a passo ritmato con la cultura dell’antifascismo. Oggi le posizioni sono più sfumate perché sono cambiati i parametri stessi della politica. E se proprio si deve bofonchiare una timida censura lo si fa quando il governo avanza la proposta di candidare D’Alema come commissario europeo.

L’immagine dell’ex segretario e presidente diessino a braccetto per le vie di Beirut con il leader Hezbollah Hussein Haji Hassan, in comunità non l’ha dimenticata nessuno. Ma il timido cenno di censura non arriva. Per questioni di opportunità si preferisce tacere e alzare gli occhi mostrando una pazienza ormai bimillenaria.

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