da Roma
Lunica Chiesa di Cristo, «comunità visibile e spirituale» continua e permane nella Chiesa cattolica. Le altre Chiese e comunità ecclesiali non cattoliche hanno in sé elementi «di santificazione e di verità», ma anche delle «carenze». Lo ha riaffermato ieri la Congregazione per la dottrina della fede in un testo intitolato «Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa». Il documento, i cui contenuti erano stati anticipati dal Giornale la scorsa settimana.
La nota, sotto forma di risposte a cinque quesiti, è stata approvata da Benedetto XVI. Non innova in nulla ed è stata preparata per puntualizzare e correggere «nuovi contributi non sempre immuni da interpretazioni errate che suscitano perplessità e dubbi». Si spiega innanzitutto che il Concilio non ha voluto cambiare «né di fatto ha cambiato la dottrina sulla Chiesa», ma lha «solo sviluppata e approfondita». Quindi si ripete la corretta interpretazione della frase della costituzione conciliare Lumen gentium secondo la quale «la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica», spiegando che la «sussistenza» rappresenta la «perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente di trova la Chiesa di Cristo su questa terra». La Chiesa di Cristo «è presente e operante» anche nelle altre confessioni cristiane, ma il «sussiste» è attribuibile «esclusivamente alla Chiesa cattolica». Cè dunque «piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica», anche se «al di fuori della sua compagine» si trovano «numerosi elementi di santificazione e verità».
Il documento precisa poi che il Concilio ha attribuito il nome di Chiese alle comunità orientali separate, perché esse hanno la successione apostolica e «veri sacramenti» e sono perciò «Chiese particolari o locali», «sorelle delle Chiese particolari cattoliche». Ma precisa anche che la comunione col vescovo di Roma, «capo visibile della Chiesa», non è un «complemento esterno alla Chiesa particolare, ma uno dei suoi principi costitutivi interni». Qui lex SantUffizio sembra rispondere con puntualizzazioni riferibili alle tesi di Joannis Zizioulas, il teologo e metropolita ortodosso che più si è dedicato allo studio del primato e che è arrivato a postularne la necessità.
Per quanto riguarda infine le comunità nate con la Riforma, il documento spiega perché non possano essere definite Chiese: «Secondo la dottrina cattolica, queste comunità non hanno la successione apostolica» e a causa della mancanza del sacerdozio ministeriale «non hanno conservato la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico». La presa di posizione vaticana è stata accompagnata da un autorevole (e anonimo) commento pubblicato sullOsservatore Romano, che in più di un passaggio riecheggia il testo di una conferenza tenuta nel 2000 dallallora cardinale Ratzinger su questo argomento.
Le reazioni non si sono fatte attendere: La Chiesa ortodossa russa «non è daccordo» con il documento e ricorda che «il principio dellunicità rivendicato dalla Chiesa cattolica vale a pieno diritto anche per la Chiesa ortodossa». Dura anche la reazione dei copti egiziani: «Parole senza valore», ha commentato il vescovo Morcos Aziz.
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