Al Veltron donato

Lei deve assolutamente spiegarmi una cosa, caro Granzotto, perché di lei mi fido. Leggo oggi della promessa fatta da Veltroni in diretta televisiva: disse che alla fine del suo mandato di sindaco di Roma avrebbe abbandonato la politica, perché la politica non è tutto, eccetera. Da uno che fa pubblicamente una promessa così argomentata e poi non la mantiene nessuno comprerebbe un’auto usata, come si dice nell’America amata dall’interessato. Quindi nessuno in buona fede dovrebbe votarlo, perché come si può affidare il Paese a uno che non onora la parola data? Uno così è capace di tutto. Ma nonostante tutto ci saranno milioni di italiani che invece gli daranno il voto. Come si spiega? È tutta gente del «tanto peggio tanto meglio» o c’è qualcosa d’altro?


Be’ c’è il fatto, caro Conte, che un tratto peculiare del buon uomo di sinistra è l’ardente aspettativa messianica. La volta scorsa i compagni ritennero di individuare i tratti del messia nel significativo volto di Romano Prodi. Sembrava fosse proprio lui l’uomo della provvidenza, il saggio, il buono, il misericordioso Professore che per forza di carattere, inflessibile determinazione e indomabile volontà poteva assicurare - all’Italia e al mondo (se lo ricorda l’Ulivo mondiale? Che spasso!) - prosperità, benessere, serietà, armonia oltre che, ma questo a sinistra è sempre sottinteso, un futuro migliore (tanto, campa cavallo). Con Prodi è andata come è andata: non era il messia giusto. Càpita. Ma stavolta, con Veltroni, il popolo della sinistra non ha dubbi: il messia venuto a risollevare il Paese dalle sue miserie, è lui. Purus putus, come dicevano i latini: fatto e sputato. È soave, ameno, charmant e il suo eloquio carezzevole imbambola. Anche perché parla di sogni, di chimere, del domani e dell’avvenire (tanto, ricampa cavallo). Parla di ideali, di diritti. Tanti, tantissimi diritti. Di idee. Un fracco di idee. Tutta roba che vellica le viscere del popolo della sinistra, che fa correr loro lungo le schiene un democratico, un progressista frisson.
Bisogna poi tener conto che a sinistra si è usi ad obbedir tacendo (al massimo può fare un paio di girotondi frondisti con Moretti e Pancho Pardi). Vecchia scuola, radicata disciplina figlia del «centralismo democratico». Espressione che mette in luce un altro aspetto genetico del buon uomo di sinistra. «Centralismo» equivale a dispotismo, a dittatura del capataz e il dispotismo, lo capisce anche un bimbo, è l’antitesi della democrazia. Però non a sinistra perché tutto ciò che la sinistra tocca diventa ipso facto democratico. E infatti quello loro si chiama centralismo democratico, così come la Germania dell’Est, quella dei Vopos, si chiamava Repubblica Democratica Tedesca. Quindi, per ricapitolare, gli attributi del buon uomo di sinistra sono l’aspettativa del messia, l’attitudine a scattare come un soldatino e la convinzione d’esser costantemente immerso in una tonificante Jacuzzi democratica.

E a uno così combinato, scusi, sa, caro Conte, cosa gliene può importare se Veltroni aveva giurato di ritirarsi dalla vita politica e invece eccolo qua candidato premier? Così come al cavallo, a Veltron donato mica si guarda in bocca.

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