Veltroni fa la festa a Bersani: con te il suicidio

PREVEGGENZA Uòlter affida la sua frecciata al libro di Vespa, scritto prima delle primarie...

Veltroni fa la festa a Bersani: con te il suicidio

RomaSpunta il sole, canta il gallo, Bersani non sale ancora a cavallo. È il terzo dì, quello del tradimento, e il leader s’accinge al giro delle sette chiese. Alleati cercansi - ambosessi automuniti no perditempo -: si comincia da Di Pietro, si finisce con Casini la prossima settimana, passando oggi per Vendola. Eppure il Calvario del leader è già cominciato altrove, fra le mura domestiche, al calduccio del «fuoco amico» e del festino di benvenuto organizzatogli da Rutelli.
È il terzo giorno, dunque, e un altro vecchio che avanza si associa alle congratulazioni. Entra Uòlter, il vecchio caro compagno Veltroni della segreteria di Botteghe Oscure, ed ecco il suo mazzo di rose rosse al successore: «Se il Pd rifluisce sulle posizioni della sinistra socialista o se punta alla Grande coalizione, si suicida». Detto dallo specialista, oro colato.
Talvolta il suicida sopravvive all’insano gesto. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che, come nella nota canzone, «non potendo più dare cattivo esempio» voglia fornire buoni consigli. Dopo aver distrutto il Pd con la fola dell’ «autosufficienza», dopo averla menata tanto con D’Alema che l’ha costretto all’abbandono, Veltroni va ad appollaiarsi sul campanile. Un cecchino scelto. Veri campioni della democrazia, questi «post» (guai a chiamare «comunista» Uòlt) della nouvelle vague. Appena sconfitti rubano il pallone e vanno via, come Rutelli, o sparano sul pianista, come Veltroni. Entrambi con premeditazione e coerenza, visto che hanno affidato le frecce più avvelenate del proprio arco al prossimo libro di Bruno Vespa (evidentemente omonimo del Vespa tanto vituperato per il suo Porta a porta) ben prima del voto delle primarie.
Coerentemente ritornano, i quadri dirigenti che hanno distrutto la sinistra, e ci riprovano con altri mezzi, come Romano Prodi. Tanto lontano dalla mischia da rispondere, via portavoce, al Giornale che ha parlato del suo ritorno: «Che scoop! Capisco che abbiano paura: Prodi ha sconfitto per due volte il Cavaliere... Ma mi sento di rassicurare la redazione del Giornale: a mandare a casa per la terza volta le destre e il Cavaliere ci penserà Bersani». Alla stessa stregua, Veltroni si sente tanto lontano dal Pd da considerarlo ancora una sua creatura. Di più: «Il Pd non può che essere un partito di centrosinistra a vocazione maggioritaria. Altrimenti non è il Pd». Nientemeno. Forte dei successi ottenuti dalla sua linea politica, Veltroni ritiene «impensabile» una coalizione dall’Udc alla sinistra radicale e spiega che «senza vocazione maggioritaria, il partito muore». Si sente un po’ solo, il povero Uòlter, ma ha orgoglio: «La solitudine del gruppo dirigente è meglio di una corrente. Non ne ho mai fatte e mai ne farò». D’Alema non l’avrebbe detto meglio.
Di fronte a tanta spudoratezza, Bersani ha potuto opporre una delle sue frasi migliori, tra Catalano e l’ovvio dei popoli: «Il Pd va avanti, va avanti, va a-van-ti». Avanti significa anche promettere che, «se saremo il baricentro, le alleanze verranno da ogni lato». Si torna perciò a tessere la tela. L’incontro con Di Pietro, durato più d’un ora e mezza, «è andato come è andato». Distinti e distanti, «amicizia e rispetto», ma d’ora in poi il Pd cercherà d’evitare la «cottura a fuoco lento, come accadeva prima e senza sembrare subalterni», dice ai suoi collaboratori. Con gentilezza, Bersani declina l’invito per la manifestazione anti-Cav organizzata dai dipietristi per il 5 dicembre, e incassa lo «stop» agli attacchi al presidente Napolitano. Di Pietro ha dovuto convenire che, se si vuole provare a organizzare un’alternativa a Berlusconi, occorre «essere credibili», come ha insistito Bersani.
Credibilità che troverà forse i primi limiti nelle alleanze per le elezioni di primavera, visto che in molte realtà la convivenza tra Udc e Idv è impossibile. Di Pietro cerca di imporre i criteri che dovrebbero garantire «personalità pulite» nelle candidature di Calabria, Campania e Puglia. Bersani però nicchia e rinvia con bonario senso comune: tattica che spera possa dare frutti anche nelle mille beghe interne. Incontrato Franceschini, il segretario promette una «gestione plurale». Nel frattempo vede il capogruppo dei deputati Soro, e ottiene le sospirate dimissioni (il nuovo sarà votato a metà novembre).

Pugno di ferro in guanto di velluto, insomma. E al Cav che ha parlato di «nuovo Pci», una sorridente risposta da bar dello sport: «Ma va’ là, lo diceva anche prima di me... Ce lo fornisca il premier, il segretario buono».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica