Cultura e Spettacoli

Venezia, un George Clooney anti-Casta nuota nel fango della politica americana

Applausi per al Festival del cinema dopo la proiezione di "Le Idi di marzo". La lotta tra due candidati democratici smaschera il cinismo dei finti idealisti. Film ispirato a John Kerry con chiari riferimenti a Bill Clinton. Madonna guida l'invasione delle dive

Venezia, un George Clooney anti-Casta  
nuota nel fango della politica americana

nostro inviato a Venezia

È il solito vizietto nostrano, forse di alcuni colleghi, habitué del Lido. Tirare per la giacchetta i film, piegarli ad una logica provinciale, possibilmente in chiave antiberlusconiana. È così che, più passano le ore e più Le Idi di marzo di George Clooney, un titolo che parte piuttosto da lontano per un classico del «cinema presidenziale» americano, si trasforma in un film sulla «macchina del fango» e sull’uso spregiudicato dei media per colpire gli avversari politici. Chissà come verrà strumentalizzato quando in gennaio arriverà nelle sale (distribuzione 01) il film che ieri, molto applaudito, ha aperto la Mostra del Lido. Però, per frenare certi eccessi faziosi conviene dare subito la parola al regista: «Con Grant Heslov (abituale sceneggiatore dei film di Clooney, ndr) avevamo deciso di realizzare questo film già a fine 2007. Ma poi ci siamo accorti che attorno a Obama e alla sua vittoria alle presidenziali c’era molto ottimismo.

Così abbiamo deciso di aspettare. Un anno dopo, mangiando dell’uva in piscina, ci siamo detti ok, questo è il momento».
Asciutto, ben recitato e molto applaudito, Le Idi di marzo è ispirato alla vicenda di John Kerry (candidato democratico sconfitto nel 2004 da Bush), raccontata nella pièce Farraguth North, la stazione della metropolitana della K Street di Washington, sede delle lobby nelle quali si riciclano gli ex spin doctor dei politici. Protagonista è Stephen Meyers (Ryan Gosling), brillante addetto stampa del governatore Mick Morris (George Clooney) in corsa alle primarie per strappare la candidatura alla Casa Bianca. Meyers è rampante, sicuro di sé, crede nel progetto del suo politico. Ma lo frega l’ambizione quando accetta d’incontrare Tom Duffy (Paul Giamatti), capo dello staff dell’altro candidato liberal, senza comunicarlo al suo superiore (Philip Seymour Hoffman). Qui s’innesca il meccanismo del film, un giallo politico con il ritmo della spy-story «con tanti temi shakespeariani», dal quale la casta - democratica e americana - esce piuttosto male.

I giochi veri volano più alto dell’ingenuità e più in basso dell’idealismo. Dietro l’apparenza vincente, tutti sono più o meno deboli, vulnerabili, ricattabili. Compreso il governatore Morris. «Lei ha commesso l’unico errore non perdonabile a un politico americano - lo accusa a un certo punto il suo giovane e brillante comunicatore -. Non dichiarare una guerra, distruggere un Paese o mentire. Ma scoparsi una stagista».

Dunque, i riferimenti sono piuttosto espliciti e perciò appare operazione spericolata applicare pedissequamente questa trama al sistema italiano. Piuttosto, mister Clooney, consiglierebbe a Dominique Strauss Kahn di vedere questo film? «Io non consiglierò questo film a nessuno. Gli scandali sessuali ci sono anche nel mio Paese, ci sono in tutti i Paesi», ha replicato divertito il regista-attore. E, del resto, gli esempi d’immoralità della casta, i tradimenti, i doppi giochi e i ricatti senza esclusione di colpi sono storia vecchia e buona a tutte le latitudini. E non sempre è facile riconoscere con certezza «chi è Giulio Cesare, chi è Bruto e chi è Cassio». «Volevamo realizzare un’opera che proponesse più domande che risposte, che suscitasse dibattito», ha spiegato ancora Clooney. Ribadendo che «non è un film politico: avrei potuto ambientarlo a Wall Street». Ma è invece un film «molto personale, sulla moralità, se sei disposto a vendere l’anima pur di raggiungere un risultato».

Quanto a lui, rassicura, non ha alcuna intenzione di entrare in politica. «Preferisco i compromessi e le mediazioni del cinema, che accettiamo spesso anche solo quando decidiamo di girare una scena nonostante sia brutto tempo. Ma sono compromessi innocui - ha precisato -. Io non sono la persona giusta per influenzare in meglio o in peggio con una semplice decisione la vita delle altre persone. È vero, oggi anche nel mio Paese il cinismo sembra dominare sull’idealismo. Ma sono ottimista e sono convinto che le cose cambieranno rapidamente. Ho ancora fiducia in Obama, anche se sono emerse nuove figure tra i repubblicani. Spero che si ricandiderà. Ma non sono sicuro che verrà rieletto» ha concluso.
P.S.

Clooney parla di tutto ma pone il veto sull’argomento meno scottante: vietato parlare di «Eli».

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