La vera storia del colonizzatore democratico

da Kuching

James Brooke fu ai suoi tempi celebrato come uno degli eroi dell’Inghilterra vittoriana e dell’impero britannico, l’esempio vivente di come la cultura inglese, la civilizzazione e il progresso potessero andare di pari passo. La dinastia da lui fondata governò il Sarawak per più di cento anni (1841-1946, con la breve parentesi dell’occupazione giapponese).
Nacque nella città santa di Benares, in India, nel 1803; suo padre era un dirigente della Compagnia delle Indie e giudice della Corte d’Appello, originario di Bath. Intraprende la carriera militare come ufficiale, e nel 1825 è al fronte allo scoppio della guerra anglo-birmana. Viene ferito gravemente durante un’eroica carica a cavallo e rimarrà convalescente per cinque anni. Inizia quindi un’intensa serie di viaggi a scopo commerciale in quell’Oriente dove era nato e cresciuto e che fatalmente lo attraeva. Ma James era negato per il commercio. Le sue mire erano ben altre. Cominciò a contestare in alcuni articoli la politica coloniale della Compagnia delle Indie (che era più o meno direttamente controllata dal governo inglese), e indicava il suo idolo Sir Stamford Raffles come modello da seguire nella gestione dei possedimenti d’oltremare. Raffles, agli inizi del secolo, aveva strappato agli olandesi l’isola di Giava in Indonesia e l’aveva governata per cinque anni (1811-1816) col consenso della popolazione locale, da lui profondamente stimata. Non repressione e mero sfruttamento, quindi, ma governare con la partecipazione attiva dei nativi e colonizzare per civilizzare. In un articolo sulla rivista Atheneum fornì un’anticipazione delle sue ambizioni sul Borneo, riaffermando il diritto inglese di resistere e reagire all’egemonia olandese sull’isola e di riprendersi il piccolo insediamento di Marudu, fondato nel 1773 dalla Compagnia delle Indie. La giustificazione morale veniva dal filantropico obbiettivo di sradicare il paganesimo e la schiavitù.
Nell’agosto del 1839, James Brooke arriva nel Sarawak a bordo del brigantino The Royalist, perfettamente armato ed equipaggiato, precedentemente in dotazione alla marina reale, acquistato grazie all’eredità paterna. Kuching all’epoca era un piccolo porto fluviale annesso a un villaggio di capanne, governato per conto del sultano del Brunei dal Rajah Muda Hassim, zio del sultano stesso. Impressionato dallo sfoggio di potenza militare, Hassim lo riceve immediatamente, credendolo un emissario del governo britannico. E qui c’è l’incredibile colpo di fortuna: il Rajah era impegnato a debellare una rivolta che durava da ben tre anni (una lotta intestina per il controllo dei giacimenti di antimonio), era in grave difficoltà e chiede aiuto al nuovo arrivato. Quest’ultimo, con suprema astuzia politica, prima lo asseconda e in seguito si mette d’accordo con alcune delle fazioni ribelli che aveva aiutato a reprimere per ricattarlo, sempre avvantaggiandosi dell’evidente superiorità militare (l’irresistibile forza di convinzione dei cannoni).
Fatto sta che due anni dopo Brooke viene nominato ufficialmente Rajah al posto di Hassim col beneplacito del sultano del Brunei. I locali, sia malesi che dayak, iniziano a vederlo come un leader dai poteri semi-magici, che emanava semangat (coraggio fisico, carisma, forza spirituale), e lui vede finalmente la possibilità di realizzare il suo sogno: governare una colonia col consenso, come fosse uno shire (contea) inglese. All’inizio del suo regno Brooke ricevette pacificamente flotte di pirati, in particolare i filippini Illanun, per ammonirli e convincerli che nel suo territorio eventuali scorrerie sarebbero state severamente punite - ma con loro fece anche baldoria. Dai suoi diari di bordo notiamo però un atteggiamento quasi schizofrenico: James era profondamente affascinato dalla loro bellicosità spontanea, dal loro abbigliamento bizzarro, dalle loro danze sfrenate. Con loro sentiva di avere in comune il disprezzo per il commercio e l’amore per l’azione, l’avventura, la vita nomade - come se sapesse che ciò che prima di tutto li chiamava alle armi era l’esca della pura eccitazione, il sollievo dalla noia di un’esistenza regolare, dal grigiore del tipo di vita che lui stesso cercherà di imporgli. Insomma li ammirava mentre li combatteva, un’attitudine militare da vero gentleman che servirà anche a dissimulare, nella sua coscienza, la disparità di armamenti sui due fronti.
E qui arriva Emilio Salgari. Infatti sono proprio queste le tormentate riflessioni che fa il James Brooke dei suoi romanzi, interpretato nella celebre serie televisiva da Adolfo Celi (bravissimo, ma fisicamente non somigliava affatto al vero Brooke). L’antagonista/persecutore di Sandokan è quindi anche il suo alter ego. Nei suoi monologhi c’è molto del vero James Brooke. Ma da dove Salgari aveva tratto queste informazioni, visto che notoriamente non era mai uscito dall’Italia? La sua fonte, come ha indicato Paolo Ciampi in un paio di libri recenti (Mauro Pagliai editore), non poteva essere altri che Odoardo Beccari, il celebre naturalista che fu ospite di Brooke nel 1857 e fu anche testimone dell’insurrezione cinese a cui il Rajah bianco scampò miracolosamente, e alla quale seguì una feroce rappresaglia. Non si sa se i due si conobbero di persona, ma di sicuro i libri di Beccari erano all’epoca l’unica risorsa per la conoscenza di quel mondo così remoto. Un’altra fonte per Salgari potrebbe però essere stata l’inchiesta ordinata dal governo britannico nel 1854. Come si sa, il successo genera invidie e gelosie e Brooke, che era stato ricevuto dalla regina e aveva ottenuto il titolo di Sir, si era nel frattempo fatto parecchi nemici. La lunga inchiesta si chiuderà con un nulla di fatto e avrà come unico risultato di dividere l’opinione pubblica britannica tra pro-Brooke e anti-Brooke. I resoconti giornalistici di tutta questa vicenda furono probabilmente una fonte primaria per Salgari, che risulta più influenzato dalla fazione anti-Brooke nella costruzione del personaggio.
Perché Hollywood non ha mai realizzato un kolossal basato sulla biografia di Brooke, così pregna d’avventura e di esotismo? «Perché non c’è alcun interesse amoroso nella vita del Rajah bianco», disse Somerset Maugham interpellato sull’argomento. Lo stesso aveva detto Errol Flynn a Sylvia Brooke, moglie del terzo Rajah Vyner, la quale aveva già pronta una sceneggiatura. Nulla di più lontano dal vero. James non si era mai sposato (anche se riconobbe un figlio illegittimo), ed ebbe molte amicizie femminili ma nessun fidanzamento vero e proprio (eccetto uno in Inghilterra, misteriosamente andato a monte). Come dimostrato da J.H. Walker in un saggio che fece molto discutere (This peculiar acuteness of feeling, «Questa peculiare acutezza di sentimento»), l’attenzione sessuale di James era rivolta agli adolescenti, ma questa sua inclinazione era stata sempre abilmente celata con l’alibi del paternalismo sia da lui stesso sia dalle persone della sua cerchia, così come dai biografi coevi o postumi. Nell’Inghilterra vittoriana la sodomia era un reato grave. Non si tratta però di pedofilia o pederastia, come potrebbe apparire all’osservatore odierno. L’adolescenza è un’invenzione del Novecento; nella Gran Bretagna dell’Ottocento, a dodici anni ci si poteva già sposare e arruolarsi nella marina o nell’esercito, oppure andare a lavorare in fabbrica o in miniera.


Negli ultimi anni della sua vita, trascorsi nella residenza di Burrator nel Devonshire, dove morì e fu sepolto nel 1868, Brooke, parzialmente sfigurato dal vaiolo a cui era fortunosamente sopravvissuto e amareggiato dalle tante vicissitudini, sviluppò gusti più pasoliniani, dedicandosi a relazioni con giovani di basso rango che in più di un caso tentarono di ricattarlo.

2. Fine (la puntata
precedente è uscita ieri)

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