Per dirla con Nicola Piepoli, che la dice a sua volta con Orazio: «Odi profanum vulgus, et arceo», e cioè odio il volgo profano e me ne tengo lontano. «Le piazze sono volgari, da piazza Tienanmen a piazza Tahir a piazza del Popolo, io non ne voglio sapere nulla» ride. Beato lui. Qui invece urge capire. Non per arrampicarsi sulle barricate, di qui Mariastella Gelmini a dire che «siete quattro radical chic», di là le sciarpe bianche e gli ombrelli rossi e il popolo viola e su su fino a un milione anzi oltre, come hanno contato le organizzatrici e mostrato i tiggì. Soprattutto ora che dalla conta dei partecipanti si è passati alla conta dei costi, e si è scoperto che al lavoro gratuito delle donne si sono aggiunti salvifici finanziamenti di Pd e Cgil.
Trattasi di capire se quella partecipazione segna una nuova questione femminile trasversale, o se quelle donne e quegli uomini che si sono mobilitati sono le stesse donne e gli stessi uomini che più o meno da 17 anni rispondono all’appello ogni volta che la parola d’ordine è «Berlusconi dimettiti». Non ci sono prove, solo indizi. Le piazze e chi ci si addentra armato di striscioni e fischietti non sono materia che si possa scientificamente sondare. I calcoli di Piepoli dicono che fra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni, le donne alle ultime Politiche hanno preferito il Cavaliere, nove milioni (sui 17 milioni di votanti del centrodestra), contro sei (sui 13,6 milioni del centrosinistra). C’è poi un simpatico libercolo per fanatici dell’analisi elettorale intitolato Il ritorno di Berlusconi, collana Itanes edizioni Mulino, secondo cui il 41 per cento delle donne ha scelto il Pdl e il 32 il Pd, così distribuite: pensionate e casalinghe virano a destra, le studentesse a sinistra così come le donne «occupate». Posto che Daniela Santanchè non c’era e che invece Concita De Gregorio sì, per capire chi c’era nel mezzo bisogna passare all’analisi empirica. E così, magari alla fine non sarà valso per tutte il motivo che ha denunciato il premier, che ha definito quelle piazze un «pretesto per sostenere il teorema giudiziario». Epperò è indubbio che quella sia stata una piazza anti Cav, là dove il Rubygate e dintorni di «ciarpame» sono stati un appiglio come un altro, legittimo ma tale.
Se tre indizi fanno una prova, basta guardare chi c’era e chi no. Assenti i sindacati cattolici e moderati come Cisl e Uil, presente la Cgil anche in versione Fiom. Assenti i centristi dell’Udc, ma presenti le sfegatate new entry dell’antiberlusconismo come le donne del Fli, Flavia Perina in testa. Assenti le intellettuali liberali, presente l’intellighenzia di sinistra. Del resto, nei giorni precedenti il corteo, si è scatenato il dibattito fra favorevoli e contrari, vado ma con distinguo, non vado perché mi distinguo, vado e basta, resto a casa. Sono intervenute tutte e con passione, perché le donne sono così, individualiste o gruppettare devono dire la loro, non c’è verso, e preferibilmente provocando. E allora per una Santanchè che puntava il dito all’urlo di: «Ruby e le altre sono figlie del vostro ’68», c’era una De Gregorio che chiamava all’appello: «Dove siete, ragazze? Madri, nonne, figlie, nipoti, dove siete? Sono sicura, so con certezza che la maggior parte delle donne italiane non è in fila per il bunga bunga». Solo che poi la questione si è ampliata. Scriveva Dacia Maraini a un certo punto addirittura che la piazza delle donne sarebbe stata come la piazza dei ragazzi egiziani, perché «le donne italiane proprio come i ragazzi egiziani chiedono libertà di parola, di pensiero, maggiore democrazia, guerra alla corruzione, accesso alle professioni». Che c’entra? C’entra, ma col no al governo. Quello che ha detto Susanna Camusso la leader della Cgil: «È un Paese che non ne può più». E quello che è arrivato dalle donne «normali»: «Ho marciato contro il governo più in questo quindicennio che nel resto della mia vita» ha confessato al Secolo XIX Costanza Matteini, figlia di Luigi, dirigente del partito d’azione genovese. Così alla fine Francesca Izzo, una delle ideatrici della manifestazione, ha dato appuntamento all’8 marzo: «Da questa piazza non si torna indietro. Ci impegniamo a costruire gli Stati generali delle donne italiane». Lo dissero pure all’ultima grande manifestazione, quella di «Usciamo dal silenzio», che non si sarebbero più zittite. Era il 2004 e al governo c’era sempre Berlusconi. Solo che poi arrivò Prodi, e tacquero. Rieccole ora. Ma non è che nel mezzo l’Italia fosse meno sessista, gli asili più numerosi, il tetto di cristallo meno duro da rompere.
E allora ecco il punto. C’è un’ipocrisia di fondo, tanto più grave perché ha a che fare con un tema, la prostituzione, che fa leva sulle viscere della femmina. L’ipocrisia è strumentalizzare questi sentimenti, come ha fatto il Pd che ha «ringraziato la piazza», per rovesciare un governo cui non riesce a dare spallate. «In una democrazia costituzionale e rappresentativa la piazza non dovrebbe essere necessaria quando si tratta di scegliere e cambiare gli uomini al governo.
Se la piazza è diventata necessaria, vuol dire che qualcuno o molti non hanno fatto quello che dovevano fare (...). A questo punto della faccenda si fa appello alle donne. Che senso ha?». Parola di Luisa Muraro, femminista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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