Livio Caputo
Alzi la mano chi - pur non avendo mai votato per la Lega e non avendo alcuna intenzione di votarla in futuro - non ha condiviso almeno alcune delle proposte degli uomini di Bossi. Chi, cioè, non ha mai desiderato in cuor suo di tornare alla vecchia lira, di espellere dal Paese senza tanti complimenti tutti gli immigrati irregolari, magari perfino di sottoporre a castrazione chimica gli stupratori di gruppo che stanno imperversando nell'Italia del Nord? La Lega sembra essersi trasformata da partito regionale nel partito delle istanze impossibili (o addirittura inconfessabili), che dà sistematicamente voce alle richieste di una parte dell'opinione pubblica pur sapendo benissimo che non potrà mai soddisfarla.
Non si tratta certo di una novità sulla scena politica europea, dove abbiamo visto andare e venire qualunquisti e poujadisti, partiti antitasse e partiti antieuropei e abbiamo spesso sentito enunciare programmi ancora più «estremi» di quelli della Lega. Raramente, tuttavia, gli obiettivi irraggiungibili sono stati perseguiti con il metodo e la determinazione del Carroccio, capace, quando ritiene che gli possa giovare sul piano elettorale, anche di ignorare (o meglio fingere di ignorare) la realtà.
Un classico in materia è la richiesta, poi per la verità un po' annacquata, di uscire dall'euro. Abbiamo troppa stima dei vari Calderoli e Maroni per pensare che non sappiano quali catastrofiche conseguenze una iniziativa del genere avrebbe non solo per il nostro Paese in generale, ma anche per i loro elettori padani: fuga generalizzata dalla nuova lira, balzo alle stelle dei tassi d'interesse, servizio del debito pubblico insostenibile, inflazione a due cifre. Eppure, quando le antenne di via Bellerio hanno percepito che un buon numero di italiani considerano l'euro responsabile dei loro guai, non hanno esitato a trarne le conseguenze estreme, fino a organizzare una specie di referendum sul prato di Pontida.
Sulla stessa linea sono le dichiarazioni di Bossi sull'Unione europea, peraltro da lui sempre combattuta come «superstato sovietico» e istituzione «forcaiola». Che l'Europa, così com'è, piaccia sempre meno è un fatto di cui quasi tutti i partiti stanno già prendendo atto. Ma chi mantiene i piedi per terra sa anche che uscirne per giocare al cavaliere solitario in un Mediterraneo pieno di insidie sarebbe un suicidio. La Lega, invece, si diverte ad alimentare i risentimenti di quei tanti italiani (certo, più del 4% che costituisce il suo elettorato) che, senza troppo riflettere, vogliono dire addio ai «burocrati di Bruxelles».
Esemplare è poi la spinta leghista sul fronte della amministrazione della giustizia, della immigrazione e dell'ordine pubblico. Di fronte all'imperversare della criminalità straniera, milioni di benpensanti vorrebbero che i giudici la smettessero di concedere con tanta facilità la libertà provvisoria, che chi varca le nostre frontiere senza tutti i timbri a posto fosse subito rimandato a casa senza troppi complimenti, che chi durante le dimostrazioni rompe le vetrine o imbratta i muri finisse in galera per qualche anno, che porre una taglia sulla testa dei delinquenti diventi una pratica comune. Sappiamo peraltro che queste nostre aspirazioni sono, almeno in parte, destinate a rimanere tali, perchè nel bene e nel male il Paese si è dato certe leggi che devono essere rispettate e (sempre nel bene e nel male) i magistrati sono indipendenti e spesso impermeabili ai desiderata dei cittadini. Ciò nondimeno, la Lega le sostiene a gran voce, come se fosse all'opposizione.
Se ricordo bene, furono i comunisti a inventare l'espressione «partito di lotta e di governo», ma nessuno sa interpretare la parte meglio del Carroccio. Nessuno dà voce agli istinti, talvolta fondati, talvolta inaccettabili, di una certa categoria di italiani meglio dei leghisti, tanto che c'è da stupirsi che non prendano consensi anche al Sud. È vero che spesso straparlano, ci illudono, creano seri problemi alla coalizione.
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