«L a madre di tutte le fatiche delle donne che lavorano? Il continuo bisogno di approvazione. Il riconoscimento diventa l'unico obiettivo e si perde di vista il resto». Simona Cuomo insegna alla Sda Bocconi, la scuola di management dell'ateneo milanese, dove coordina il corso «Leadership al femminile» (attivo da 16 anni, prossima edizione in ottobre). Ai rapporti tra donne e carriera ha dedicato studi e articoli.
Esiste davvero nel lavoro uno «stile femminile» diverso da quello maschile?
«Il punto non è creare contrapposizioni tra questo o quel modello, ma valorizzare le caratteristiche di ciascuno».
Quali sono i talenti femminili che insegnate a valorizzare alle manager?
«La capacità di lettura sistemica, quella di creare integrazione e l'ascolto come premessa del raggiungimento dell'obiettivo».
Sembrano doti fondamentali per gestire un'azienda.
«Non sempre però sono adeguatamente apprezzate. Ancora oggi molte donne camuffano la loro identità, negando le loro doti naturali, per assimilarsi al modello di leadership del gruppo dominante, perlopiù maschile. Snaturando se stesse sono perennemente affaticate e scontente. In gergo si chiama gender fatigue: è la tensione di dover sempre dimostrare di essere all'altezza».
E il peggior difetto delle donne in carriera qual è?
«Mancano di capacità di negoziazione, sono vittime del multitasking che, se mal gestito, frantuma la vita. E cadono sul perfezionismo».
Vale a dire?
«Le proprie imperfezioni vanno accettate, valorizzando il meglio che si ha. Le donne devono diventare più brave a capire che cosa vogliono, a riconoscere i loro legittimi desideri di carriera, senza sensi di colpa. Dovrebbero usare meglio l'aggressività».
In che senso?
«È un'arma importante per la sopravvivenza della specie: va sfruttata per mettere dei
paletti, anche nelle relazioni con gli altri, per non farsi invadere dai bisogni e dalle richieste, al lavoro e in famiglia. Spesso però le donne incanalano l'aggressività nel modo sbagliato, cadendo nell'eccesso di emotività».
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