«Vi racconto come ho convinto i sindaci ribelli»

Mario Virano, l’uomo che ha messo tutti d’accordo sull’alta velocità: «Due anni fa i contestatori mi rinchiusero in un ufficio per due ore»

da Milano

«Diciamo che in 18 mesi non mi sono mai annoiato». Mario Virano è il responsabile dell’Osservatorio sulla Tav che è riuscito a mettere d’accordo i sindaci delle comunità della Val di Susa dopo 70 settimane consecutive di incontri e 300 audizioni.
Domanda obbligata. Ma come c’è riuscito a convincere i più riottosi?
«Io non ho convinto nessuno. In 18 mesi di trattative non c’è stato alcun “portatore sano di idee buone”. C’è stato un confronto, a volte anche duro, che ha fatto scoprire a delle persone, convinte di avere il mano il 100% della verità, che nelle ragioni altrui, anche le più lontane, c’era un 10-20% di ragioni».
Modesto. E allora, facciamo così. Ci dica quanto è cambiato il progetto?
«Il progetto non è stato “aggiustato”. È proprio un altro progetto, che risponde sia ai requisiti ferroviari sia a quelli del territorio. Abbiamo evitato gli errori del passato».
Quali errori?
«Le spiego. Di solito la logica prevalente delle grandi opere è progettare l’infrastruttura “al meglio”, calarla sul territorio e risolvere i problemi con la logica della compensazione. In questo caso, invece, abbiamo assunto i dati del territorio come input, e da qui siamo ripartiti. Le faccio un esempio?».
Assolutamente sì...
«C’è una valle che è già attraversata da 4 “corridoi”: la ferrovia, l’autostrada e due strade statali. Ecco, la Tav non sarà un quinto corridoio. Abbiamo sfruttato le aree residuali di autostrada e ferrovia, d’accordo con gli amministratori. Che hanno capito il valore aggiunto e strategico di avere una stazione nella Val di Susa collegata con la principale rete europea di collegamento. È proprio un’altra logica».
Mi scusi, ma qual è invece quella che si usa di solito...
«Sa perché le infrastrutture vengono sempre percepite negativamente? Perché ci sono due storture. La prima: se io chiamo i sindaci a discutere di un progetto “definitivo”, che so essere costato diversi milioni di euro, c’è una rigidità oggettiva nella trattativa, e quindi i margini di miglioramento sono limitatissimi. Secondo errore: quando si propone una grande opera, se va bene, ha un impatto “zero” col territorio, altrimenti ha impatti negativi che poi vanno compensati. L’idea che la grande opera abbia valore aggiunto non è neanche presa in considerazione. Neanche nella Valutazione di impatto ambientale».
C’è stato un momento decisivo nella trattativa? O una fase nella quale tutto sembrava compromesso?
«Guardi, non so individuare un momento preciso. Ma ho capito che ce l’avremmo fatta nelle ultime settimane. Anzi, quando ho convinto i 40 partecipanti all’Osservatorio a riunirsi in conclave...».
Addirittura... Dove?
«A Pracatinat, 1.750 metri sul livello del mare, da giovedì a sabato scorso. Senza cellulari per 50 ore consecutive. Nessuno poteva andarsene da solo».
Li ha tenuti prigionieri...
«Tutt’altro. Pensi che una volta sono stato rinchiuso per due ore, circondato dal popolo No-Tav...».
Dove e quando?
«Dunque...

Comunità montana di Bussoleno, 23 novembre 2006. Avevo coinvolto tutti i sindaci, i contestatori ci chiusero dentro. Poi, uno alla volta, li hanno fatti uscire. Tranne me. Quando uscii dissi: “Sono commosso, mi volete così bene che non mi lasciate andare via...».

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