Vince l’Italia che lotta

Vince l’Italia che lotta

Il giorno dell’uomo qualunque è infine arrivato, ed è stato forse il nostro più bello dall’inizio delle Olimpiadi. Non che non ci abbia fatto gioire, ad esempio, la Pellegrini, anzi. Federica era bella e perfino affascinante come un piccolo leader quando, dal podio, dirigeva la claque durante l’Inno di Mameli. Ci ha fatto sentire orgogliosi di essere italiani e non solo, ha fatto anche di più: ci ha fatti illudere, per un momento, di essere tutti un po’ suoi fidanzati. Ma appunto di un’illusione si trattava, perché Federica Pellegrini apparteneva già prima dell’oro al mondo dei divi, dei desiderabili e dei famosi, in una parola dei vincenti. Chiara Cainero e Andrea Minguzzi sono invece due carneadi: ma proprio per questo ci hanno dato molto di più, hanno portato in cima all’Olimpo l’Italia degli anonimi, ci hanno regalato un sogno ancor più bello di un flirt con la Pellegrini, e cioè la speranza che un giorno da leoni possa arrivare per noi tutti, per l’Italia dei Brambilla e degli Esposito, perfino per quella dei Fantozzi.
Noi - noi che siamo dei Cainero e dei Minguzzi ma ancora senza medaglia - da buoni italiani siamo saliti subito sul carro della vittoria. Ieri a pranzo ho sentito, al bar, discettare di skeet, una disciplina di cui credo non avevano sentito parlare neanche alla redazione della Gazzetta dello Sport: «È la specialità più complicata del tiro a volo», diceva uno ostentando una lunga conoscenza del settore: «l’arma è in mano e viene portata in posizione di tiro solo al momento del lancio, servono concentrazione e riflessi prontissimi». «Il problema», ribatteva l’altro, «è quando c’è un tempo da cani come quello di questa mattina. Ma la Chiara s’era allenata tra le piogge dei suoi monti».
Anche il telecronista, durante la diretta, la chiamava così, «la Chiara»: adesso tocca alla Chiara, la Chiara può vincere, la Chiara ce l’ha fatta. Noi che non ci permettiamo di metterle davanti un articolo determinativo, noi che non sapevamo che cos’è lo skeet ma neanche il tiro a volo (l’avevamo sempre chiamato tiro al piattello, beata ignoranza), noi che potremmo credere che alle Olimpiadi ci sono pure le gare di bandiera e di girotondo tanto siamo incompetenti, insomma noi tifosi una tantum ci siamo comunque commossi nel vedere con l’oro al collo questa donna di 30 anni che non si porta appresso un codazzo di manager, curatori di immagini e psicologi; che non cambia la tinta delle unghie prima della finale e che nel caso (improbabile) abbia un piercing al capezzolo sinistro, si guarda bene dal farcelo sapere. Non ha flirtato in diretta con un fidanzato strappato a una rivale, non ha annunciato l’arrivo di una Ferrari nera e vacanze in Sudafrica e alle Seychelles: Chiara Cainero, che è una di noi, ha salutato il marito e i genitori che erano lì a vederla e ha subito pensato all’economia domestica: con i soldi del premio olimpico, ha detto, spero di estinguere almeno in parte il mutuo sulla prima casa.
Uno di noi è anche Andrea Minguzzi. Pure di lui non sapevamo nulla. Il suo sport, ci dicono, era popolare cent’anni fa, quando in Italia imperversava un tale Porro, beniamino di Vittorio Emanuele III non perché vincesse ma perché la sua altezza era tanto simile a quella di Sua Altezza: uno e cinquanta. Ma ai giorni nostri non s’è mai vista in tv una lotta greco-romana (mi sono sempre chiesto: quali saranno i colpi greci e quali quelli romani?). Ieri mattina uno dei miei bambini vedendo la finale si è allarmato: ma stanno litigando per la medaglia? Quando il nostro ha sollevato di peso l’ungherese Zoltan Fodor (altro nome sbucato dal nulla) e l’ha sbattuto per terra, ho dovuto rassicurarlo: sta’ tranquillo che adesso fanno la pace.
Evviva Minguzzi, che è un emiliano quasi romagnolo, e la sua semplicità l’ha espressa in modo più vivace e caloroso di quanto abbia fatto la friulana Cainero: ha dato il cinque agli spettatori seduti in prima fila, ha preso un tricolore e s’è messo a correre sventolandolo, ha baciato una valletta della cerimonia, infine ha fatto sulla pedana un salto mortale così che qualche telespettatore ha pensato: forse anche questa è una mossa, vuoi vedere che il combattimento non è finito?
Grazie di cuore Chiara Cainero e Andrea Minguzzi. Avete dato gloria all’Italia e una speranza a tutti noi nomi e cognomi sperduti dentro un elenco del telefono. Avete vinto in due sport politicamente scorrettissimi (uno si fa menando le mani, l’altro addirittura imbracciando un fucile), e questo vi fa diventare ancora più simpatici.

Tra qualche giorno torneremo a dimenticare i vostri nomi: per voi non ci saranno foto osé e isole dei famosi: tornerete ad allenarvi duramente nell’indifferenza di noi giornalisti e a contare le rate del mutuo. Come tutte le più belle cose, viveste solo un giorno, come le rose.
Michele Brambilla

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