Il vincitore paragonato a un leader impiccato

L’Akp usa una strategia molto simile a quella di Hamas e Hezbollah

da Ankara

Recep Tayyip Erdogan come Adnan Menderes. In Turchia lo dicono da un po’. Lo dicevano i manifestanti alle «marce per la Repubblica», e non era certo un complimento, lo dicevano i manifesti di una vafik, fondazioni spesso vicine agli ambienti islamici e al Partito per la giustizia e lo Sviluppo, riconfermato alla guida del Paese. Sui cartelli che ritraevano i due leader si leggeva: «Per camminare insieme sulla strada della democrazia». Ora lo dicono anche i principali giornali turchi.
Il premier uscente, rieletto con un consenso plebiscitario, paragonato alla figura più controversa nella storia della Turchia. Adnan Menderes, primo ministro per un decennio e fautore di una politica filo islamica, fu impiccato in seguito al colpo di Stato militare del 1960, la prima volta in cui l’esercito entrò con forza nella vita civile del Paese. Nativo di Aydin, sulla costa egea, a differenza di Erdogan proveniva da una famiglia benestante. Come Erdogan fondò un partito, il Partito democratico, e sempre come l’attuale premier turco ottenne una maggioranza elettorale plebiscitaria. Di carattere forte e brillante oratore, fondò gran parte del suo programma politico sul ripristino delle radici islamiche nella Turchia laica lasciata da Mustafa Kemal Atatürk. Si batté con forza finché non riuscì a sostituire la preghiera musulmana in arabo a quella in turco come imposto da Ismet Inonu, successore del padre della Patria. Riforma sopravvissuta fino ai giorni nostri.
Nel 1955 rimase pesantemente coinvolto nelle persecuzioni contro le minoranze greche nella città di Istanbul. Filo occidentale, accentuò però i rapporti con i Paesi arabi. Proprio come Erdogan. Liberale dal punto di vista economico (favorì l’apertura delle aziende private e cercò di modernizzare il Paese), gli ultimi anni della sua carriera furono contrassegnati dalla persecuzione e carcerazione degli avversari politici e dalla restrizione della libertà di pensiero e di parola. I militari decisero di mettere fine alla sua attività politica e alla sua vita in modo brutale e dopo un processo sommario. Menderes fu accusato di tradimento della Patria e condannato all'impiccagione, eseguita il 17 settembre sull’isola di Imrali, nel Mar di Marmara, la stessa su cui oggi sorge la prigione di Abdullah Ocalan.
La sua vicenda umana ha rappresentato per molti anni una delle pagine più difficili per la Turchia. Nel 1990 l’ex-dittatore fu riabilitato in grazia del progresso al quale aveva avviato il Paese e di un tentativo di revisionismo storico che lo potesse portare a riconciliarsi con il suo passato. Oggi l’orrore e il dolore di quei giorni sembra definitivamente superato, tanto che gli sono stati dedicati numerosi luoghi pubblici, e quello che fece di male, per quanto terribile, è stato in un qualche modo accantonato.
Oggi Menderes viene paragonato a un premier moderno, che ha avviato le trattative per fare entrare la Turchia in Europa, che sta favorendo l’ingresso dei capitali stranieri e che sta avvicinando il Paese, per il momento solo dal punto di vista economico, al mondo arabo. Sembra che l’azione politica di Erdogan somigli alla componente positiva dell’attività politica di Menderes.

Un premier per la Turchia con la consapevolezza delle sue radici religiose, ma non fautore di persecuzioni e fanatismo e laico a sufficienza. Questo almeno è quello che pensa chi ha paragonato queste due figure così lontane nel tempo, ma così vicine nella formazione teorica e a tratti, nella prassi politica.

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