Questa del governo giapponese che vuole combattere chi è in sovrappeso a colpi di metro e di multe ha un che di paranoico, più che di paramedico. L’ossessione per la salute degli altri passa per la cruna dell’ago delle scelte e delle libertà individuali, e l’idea che uno Stato debba decidere per il mio bene la circonferenza della mia pancia ha un sapore totalitario che la rende indigeribile. Siamo cresciuti con l’idea che l’eugenetica e la perfezione razziale fossero un’aberrazione, ma poi ci sprofondiamo dentro ogni qualvolta il potere pubblico decide che siamo troppo scapestrati per poter scegliere con la nostra testa.
È anche una questione economica, dicono quelli che la vogliono sempre mettere sul rapporto costi-benefici, e una sanità «sana» non può sopportare il peso di una alimentazione «malata»... A parte il fatto che se stessimo all’improvviso tutti bene, per magia o per decreto legge, il sistema sanitario andrebbe a pallino, non sarà male ricordare che, in linea di massima, come cittadini-contribuenti noi paghiamo per un servizio a prescindere dall’uso che eventualmente ne faremo e quindi rinfacciarci quello che costiamo soltanto quando a quel servizio ricorriamo, è un po’ un controsenso.
Al di là di questo è tuttavia l’aspetto, come dire, ideologico, quello più repellente, non solo perché di fatto crea una discriminazione odiosa sulla base di requisiti fisici, ma perché al fondo nasconde un concetto di utilità e/o di parassitismo che può andar bene per le dittature, ma non per le democrazie. «Parassitismo sociale» era la formula con cui l’Urss comunista metteva nei gulag gli oppositori. Gli si impediva di lavorare e poi gli veniva imputato come crimine quello di non avere un lavoro...
Questo concetto fa il paio con quello della «maggior efficienza» di un popolo rispetto a un altro.
Insomma, si comincia con la dieta forzata, poi magari si decide che tutto sommato siamo solo pezzi di ricambio nel mercato del «fisicamente corretto».
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