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Viviamo solo con i campioni di una volta

Dite pure addio a Joe Frazier, come un giorno lo diremo a Muhammad Alì, a George Foreman o Mike Tyson. Ma tranquilli, non sarà mai un addio. Ci saranno sempre, come continuano ad esserci Joe Louis e Sugar Ray Robinson o, per noi italiani, Primo Carnera e Duilio Loi. E anche Sandro Mazzinghi e Nino Benvenuti, che sono ancora vivi. Solo gli sprovveduti pensano che gli eroi muoiano, che le leggende non sopravvivano, che il tempo faccia scolorire il ricordo, che parlare di pugni e pugili porti alla noia, o che le storie della boxe non siano eterne. Così belle, intriganti, affascinanti, tragiche e contorte da bersi tutte d’un fiato.
Qualcuno avrà già intuito il limite. Parliamo solo al passato. È vero: presente e forse il futuro non appartengono a questo sport, ai suoi atleti. Anche se i pugili non mancano, le Olimpiadi ne traggono forza e attenzione. Ma oggi provate a dire il nome di un boxeur noto e trascinante. Provate a ritrovare un campione trasversale, quello che... basta la parola. Sarebbe una dura prova anche per gli addetti ai lavori. Invece il tempo di Frazier e Alì era tutto un ribollire: sport e mafia (americana), pugni e pupe.

Ma soprattutto campioni universali. Se oggi ci sono Ronaldo e Messi, Schumacher, Alonso, LeBron James, Usain Bolt, allora c’erano loro: non temevano concorrenza. Non l’avrebbero temuta neppure da questi che, al confronto, sono nanetti. Muhammad e gli altri erano emblemi dello sport, non di uno sport. Difficile che, ancor oggi, qualcuno al mondo non conosca Alì, così capitò con Ray Sugar Robinson. La grandezza di un atleta si misura soprattutto quando esce dal suo universo e viene recepito da altri mondi. Joe Frazier, pur nell’ombra di Alì, è diventato uno di loro.
Gli anni Settanta, ma potremmo tornare anche più indietro, ci hanno regalato campioni del ring e personaggi ad eterno ricordo. Erano grandi per natura, non per marketing. Anche Messi è un grande, intendiamoci, ma non sarà mai come Maradona o come Alì e il club dei nasi schiacciati nell’immaginario collettivo.

Quei personaggi ce li siamo cullati, adorati, glorificati grazie alle imprese e senza l’assillante luce accesa della televisione. Bastavano buoni articoli da leggere, belle foto e un pizzico di fantasia che ingrandiva il personaggio. Oggi parliamo di spot e di sport. Le tv forse rimpiccioliscono, anziché ingrandire. Ci portano le stelle, sempre e dovunque, troppo vicine. Troppo sponsorizzate, nel senso ampio del termine.
E questa è forse l’unica rivincita che la boxe può prendersi sullo sport di oggi. Non ha campioni, ma una strabiliante Hall of fame naturale. Raccoglie vivi e morti. Anzi, non fa morire mai i suoi campioni.

E Joe Frazier, in questi giorni, lo ha dimostrato.

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