Il volto buono di Frankenstein

Il volto buono  di Frankenstein

La premessa necessaria riguarda il fatto che il trapianto è stato deciso non per la vanità di possedere un bel volto, ma perché il proprio è stato deturpato da un’aggressione. Quando la chirurgia estetica interviene per restituire integrità ad un corpo distrutto da un incidente, questa è da ritenersi una straordinaria opportunità offerta all’uomo dalla scienza medica. Volti sfigurati da un incendio, da un disastro stradale che prostrano la persona minando la sua identità, possono essere ricostruiti restituendo dignità a chi è stato sventuratamente offeso. Sono circostanze, dunque, in cui la chirurgia estetica interviene con grandi vantaggi.
Diversa è la situazione se si interviene sul corpo per un miglioramento estetico fine a se stesso. Generalmente ciò accade perché non si sopporta il tempo che passa e non si tollerano i segni della vecchiaia: ecco pelli tirate come se fossero quelle di un tamburo, labbra gonfiate, seni posticci e tutto il resto che più o meno conosciamo dai pettegolezzi degli amici e dei giornalisti.
Adesso però siamo di fronte a un caso che non rientra in quelli ora ricordati, ma che li lambisce ponendo questioni nuove e drammatiche. Una donna viene sfigurata a causa di un’aggressione e perde la sua identità. Però non c’è la possibilità di intervenire attraverso la «riparazione» del suo stesso corpo. Si sceglie la soluzione di utilizzare un altro volto, totalmente estraneo, assolutamente sconosciuto alla persona stessa. E infatti si trapianta quello di un morto.
Si tratta della traduzione in realtà del mito di Frankenstein: l’altro da me che diventa me stesso. Si tratta della più arrogante manipolazione scientifica dell’uomo ma, si badi bene, in nome dell’uomo.
Non accade, d’altra parte, proprio questo quando si trapiantano cuore, reni, quando si sostituiscono con le protesi pezzi di gambe o di braccia? Chi alza la mano per dire che ciò non è lecito? In fondo, proprio questi interventi rispecchiano realmente ciò che racconta il mito di Frankenstein. Sono interventi che salvano la vita di un uomo o ne migliorano le condizioni come nel caso dell’applicazione di protesi. Perché la stessa riflessione non può essere fatta nel caso del trapianto di un volto?
Possiamo supporre che la donna aggredita dai cani che l’hanno sfigurata si trovi in una condizione disperata, che le sia oggettivamente impossibile avere quel minimo di vita di relazione che rende umana una persona. Possiamo anche supporre che non si tratti minimamente di accondiscendere alla propria vanità, ma che sia, appunto, un’esigenza essenzialmente vitale.
Se fosse così, quali ragioni etiche sono diverse da quelle che consentono altri tipi di trapianti e protesi? Credo che non ci siano. Se ammettiamo che siano eticamente accettabili trapianti e protesi, perché non dovrebbe essere analogamente accettabile il trapianto di un viso?
La questione si pone invece sul piano estetico, naturalmente considerando questa parola non come il lato effimero dell’esistenza, bensì come il concetto che spiega il significato di ciò che appare. L’immagine del nostro corpo esprime la nostra identità, cioè il senso della nostra eticità. In questo senso l’estetica è il fondamento di ogni riflessione etica. Se attraverso il mio corpo voglio trasmettere una determinata immagine (di forza, di grazia, di spregiudicatezza, di trasgressività, di eleganza) è perché spero che quell’immagine parli di me, dica agli altri chi sono realmente.


In questo processo di comunicazione estetica il volto è il centro da cui si irradia la mia identità: cambiarlo totalmente (fino a ieri operazione impossibile) significa essere disposti a rinunciare a se stessi, barattare se stessi, scambiarsi con un altro. Cambiare il proprio volto è un gesto tragico, destinato a far precipitare se stessi nell’ignoto di un’altra esistenza.

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