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Voterei ma non posso Quella malattia che paralizza il Pd

Fa discutere, ma soprattutto fa pensare la decisione del Pd di non partecipare alla Camera al voto sul «caso Eluana». Si sono lamentati i cattolici per la non scelta, si sono ribellate le componenti più laiche. Ogni decisione avrebbe sollevato dubbi e contrasti. La non decisione ha provocato rabbia e irritazione. Il caso è drammaticamente noto. La Corte d’appello di Milano e la Corte di cassazione ritengono di dover autorizzare la sospensione del mantenimento in vita di Eluana. La Procura generale di Milano no. Il Parlamento doveva decidere se affidare o no alla Corte costituzionale la decisione sul conflitto di attribuzione. Se cioè fosse giusto che un tribunale intervenisse a legiferare in assenza di una legge. Il centrodestra e l’Udc hanno votato a favore del conflitto di attribuzione. Di Pietro no.
Il Pd non ha partecipato al voto. Una caso di coscienza collettivo. Un’astensione per non vedere le divisioni che ci sono nel gruppo. Un fuggire di fronte a un dilemma difficile. Se il ricorso al non voto e all’astensione fosse stato limitato solo alla vicenda di Eluana, sarebbe stato grave, una forma di viltà pubblica inaccettabile, tuttavia circoscritta al caso particolare. Invece l’astensione, il non saper che fare, la rinuncia a dire sta diventando una drammatica caratteristica dell’opposizione che si chiama riformista. Quell’altra, la dipietrista, non ha dubbi, vede il demonio dappertutto. Più che da un segretario di partito sono guidati da un esorcista.
Il Pd no, vorrebbe ma non può. Qualche settimana fa un quotidiano fece dire a Pierluigi Bersani che il Pd si apprestava a una «durissima astensione» sui provvedimenti economici. E astensione fu sul decreto sui rifiuti, e per poco sarebbe stata astensione sul decreto sicurezza se non fossero comparse le impronte digitali per identificare i bimbi rom. Su ogni provvedimento che viene in discussione, la regola sembra quella della condivisione condizionata e mascherata che poi termina nel voto contrario o nell’astensione, per pure ragioni tattiche o di propaganda.
Astenersi è talvolta un comportamento nobile. La letteratura penitenziale è ricca di non scelte, di sacrifici fatti in nome della virtù. Chiamarsi fuori è spesso, però, indice di paura, di ragionevole convinzione di supremazia dell’avversario. Nella boxe se un pugile o entrambi non combattono l’incontro finisce con il «no contest», che è il massimo di disonore per chi lotta per mestiere.
In politica l’astensione è un atteggiamento eccezionale che viene perseguito quando si condivide gran parte di un provvedimento ma c’è qualcosa di particolare, o una cornice, che non consentono l’accettazione piena. I bizantinismi della politica suggerirono addirittura un governo delle astensioni, quello Dc-Pci di Andreotti, che avrebbe dovuto inaugurare il «compromesso storico» e invece fu segnato dalla cattura e dall’uccisione di Aldo Moro. Insomma, astensione come l’eccezione, non la regola. Quando l’astensione diventa una regola, o una vocazione prevalente, c’è una malattia.
Nel caso del Pd la malattia riguarda l’epidermide e le viscere. È una malattia dell’epidermide perché riguarda il rapporto con l’esterno, con l’aria che respiri, con i corpi che incontri. Se li tocchi la pelle si irrita e quindi ne stai lontano. Il Pd ha paura di toccare la politica o cose maneggiate dall’avversario politico e quindi si astiene, si tiene lontano.
È una malattia delle viscere perché il Pd è un corpo trapiantato, ogni volta che ingerisce una cosa diversa dai farmaci abituali c’è la crisi di rigetto.
L’astensione dall’essere una pratica estrema, rischia di diventare un vizio, un’innaturale disposizione a vivere senza essere, a sopravvivere vegetando. Quanto può durare? Se dura troppo a lungo saranno i cittadini di sinistra a proclamare il «no contest».

Accade così che un partito nato perché due partiti non volevano decidere che cosa essere (l’uno una forza socialista, l’altra una forza cattolico-liberale), assomiglia sempre più alle sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi, povere e spaurite Carolina e Teresa che finirono, infine, ridotte in miseria quando sulla loro strada si parò un nipote dissipatore.

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