Gli Who tornano al futuro con una scarica di rock

«Avete già sentito questi suoni? E chi se ne frega» Il gruppo simbolo dei Sessanta picchia ancora duro

Gli Who tornano al futuro con una scarica di rock

Il miglior regalo di Natale del 2019 rock arriva con il nuovo album degli Who, i muscolari eroi protopunk che cavalcarono l'universo dei cosiddetti «mod». Quante sfide, quante scazzottate tra mod e rocker, quanta bella musica scatenata come l'inno My Generation (con l'iconica frase «I wanna die before I get old») o riletture folgoranti di classici del rock come Summertime Blues di Eddie Cochran. E poi Tommy, la prima opera rock a segnare un percorso fatto di eccessi ed eroismo artistico. Così gli Who, ovvero gli amici-nemici Roger Daltrey e Pete Townshend (ché il batterista Keith Moon e il bassista John Entwistle se ne sono andati sull'onda degli eccessi di droga) confezionano il loro più bel disco degli ultimi quarant'anni dribblando (o accarezzando, sta a voi decidere) la nostalgia. Si dice che abbiano inciso il disco in momenti separati, senza neppure incontrarsi, con il supporto degli impagabili compagni delle avventure dal vivo: Pino Palladino al basso e l'ottimo Zak Starkey (per chi non lo ricordasse figlio di Ringo Starr) dietro i tamburi, con l'aggiunta alle tastiere di Benmont Tench, pilastro degli Heartbreakers di Tom Petty.

Il loro ultimo disco del 2013, Endless Wire, non era stato un granché, ma qui c'è ancora il furore del rock'n'roll e delle chitarre furenti. La voce di Daltrey non è più quella dei tempi in cui intontiva il pubblico - faccia d'angelo e boccoli biondi - usando il microfono con voli pirotecnici come fosse un lazo - ma sa «riempire» bene le canzoni e ha ancora dei messaggi ruvidi da lanciare al suo pubblico. «Me ne frego se odierai questa canzone», intona furente nella cinica All This Music Fade Away (ovvero «tutta questa musica è destinata a sparire»). Ma gli Who, ripetiamo modelli della cultura mod, non spariranno mai e lo dimostrano con l'aggressività dei loro brani e con le loro dichiarazioni. C'è anche un inno alla vita da pantofolai nell'album (Breaking the News) e una «scazzottata» polemica tra Daltrey che canta «questi suoni li avete già sentiti» e Townshend che ribatte «e chi se ne frega». È un classico disco rock che si nutre del passato proiettandolo nel presente (ottima la produzione di Townshend) e Daltrey è arrivato addirittura a definirlo «il loro miglior album da Quadrophenia» (altro capolavoro trasformato anche in film). Chitarre elettriche e acustiche che ci danno dentro di brutto, un'armonica qua e là, una sezione ritmica imponente, un tocco di sintetizzatori che ricorda brani come Won't Get Fooled Again (per i più distratti sigla della serie tv C.S.I. Miami). È Pete Townshend a raccontare in profondità la genesi del disco, registrato tra Londra e Los Angeles, rivendicandone la libertà (diremmo quasi l'anarchia) e soprattutto la contemporaneità. «Quasi tutti i pezzi sono stati scritti l'anno scorso - dice il chitarrista -; non c'è nessun tema, nessun concetto, nessuna storia. Solo una serie di canzoni che io e mio fratello Simon abbiamo scritto per dare a Roger Daltrey la giusta ispirazione e far rendere al meglio la sua voce. Roger ed io siamo entrambi vecchi ormai, quindi ho cercato di stare lontano dal romanticismo, e dalla nostalgia, se possibile». Rock classico, ruvido e duro (con un tocco di pop e di folk) per un album dal profumo intenso. «Non vogliamo piacere a tutti - sottolinea Daltrey - sappiamo di avere legioni di fan e l'album è dedicato a loro, in un giusto equilibrio tra passato e presente. Un equilibrio testimoniato anche dalla copertina, un patchwork di Peter Blake (l'oggi 87enne autore della mitica copertina di Sgt. Pepper)) che mette insieme la mitica Vespa (emblema dei mods), Pete Townshend in concerto che si appresta a sfasciare la chitarra (uno dei momenti più iconici dei loro concerti) con la scritta «questa chitarra ha pochi secondi di vita», vicino a Cassius Clay, la Union Jack, il flipper di Pinball Wizard e l'immancabile Chuck Berry come punto di riferimento.

È insomma un grande ritorno quello di Townshend, che non scriveva nuove canzoni dal 1993 con l'album Psychoderelict. Un talento ritrovato con tutte le sue ossessioni, visioni, paranoie (e le accuse di pedofilia che ne hanno segnato la carriera). Daltrey è stato più prolifico.

Oltre a portare in scena la versione orchestrale della rock opera Tommy (vista- senza orchestra - anche a Milano con gran successo di pubblico) ha registrato nel 2014 il bellissimo album Going Back Home condiviso con un eroe cult come Wilko Johnson.

Dell'album Who esiste anche una versione deluxe con tre brani in più, uno scritto nel 1966 e mai pubblicato, per unire il passato al futuro.

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