Italia anno zero. Al massimo zero virgola. Chiudiamo oggi il mondiale di atletica leggera di Berlino non solo senza una medaglia (e non era mai successo nelle undici edizioni precedenti) ma anche con l'impressione di un movimento depresso e deprimente. Solo otto italiani nei primi otto (quarti Giorgio Rubino nella 20 km di marcia e Antonietta Di Martino nell'alto, seste Elisa Cusma negli ottocento e la 4x100 maschile, settimi Giuseppe Gibilisco nell'asta e Silvia Weissteiner nei 5000, ottavi Marco De Luca nella 50 km e Clarissa Claretti nel martello). E dall'ultima giornata non possiamo aspettarci nulla, non avendo più atleti in gara. Il punteggio di squadra (quello calcolato attribuendo un punto all'ottavo, due al settimo, tre al sesto e così via fino agli otto del primo) di 22 punti, di un solo punto superiore alla peggiore performance, quella di Helsinki 2005. Ma allora almeno Schwazer ci regalò un bronzo.
Medaglie. Come detto, zero assoluto. O zeru tituli, come direbbe Mourinho. Nelle undici edizioni precedenti dei mondiali abbiamo vinto infatti 37 medaglie (11 d'oro, 14 d'argento e 12 di bronzo) con il picco positivo delle sei di Göteborg 1995 (due ori, due argenti, due bronzi) e quello negativo (finora) di Helsinki 2005 (un solo bronzo). Non laureiamo un campione del mondo da sei anni: l'ultimo fu Giuseppe Gibilisco nell'asta a Parigi 2003.
Piazzamenti. Con otto piazzamenti nei primi otto sfioriamo il fondo assoluto. A Helsinki 1983 ne avevamo piazzati 12, a Roma 1987 13, a Tokyo 1991 14, a Stoccarda 1993 10, a Göteborg 1995 13, ad Atene 1997 addirittura 15, a Siviglia 1999 13. Poi, da Edmonton 2001, il declino: 9 piazzamenti nei primi otto, saliti a 10 a Parigi 2003, e scesi inesorabilmente ai 6 di Helsinki 2005 e ai 7 di Osaka 2007 fino agli 8 di questa edizione.
Punteggi. Naturalmente ne risente la classifica a squadre. Il punto di massimo splendore si era toccato a Göteborg 1995 quando l'Italia aveva totalizzato 63 punti frutto di due primi posti, due secondi, due terzi, un quarto, due quinti, un sesto, due settimi e un ottavo. E nel mazzo c'era di tutto: la marcia di Didoni, Perricelli, Di Mezza e della Perrone e della Giordano; ma anche i salti della May, della Uccheddu e della Lah, la velocità della staffetta veloce maschile (addirittura terza), il mezzofondo veloce di Giocondi negli 800 e il fondo della Ferrara e della Guida, fino alle siepi di Carosi. Tutti nomi che fanno venire un po' di nostalgia. Come quelli di Mennea, Cova, Damilano, Fogli, Andrei e Simionato che trascinarono l'Italia ai 43 punti di squadra nel 1983; e quelli di Panetta, Pavoni e Bordin dell'Italia di Roma 1987 (56 punti). Finita l'epoca d'oro degli anni Ottanta, in cui dettavamo legge nel mezzofondo e dicevamo la nostra anche nella velocità, iniziano gli anni Novanta, nei quali , oltre al picco svedese, ci comportiamo sempre bene. A Tokyo 1991 otteniamo 39 punti, a Stoccarda 1993 43, grazie ai tre argenti di D'Urso negli 800, di De Benedictis e della Salvador nella marcia e al bronzo di Lambruschini nelle siepi; ad Atene 1997 46 punti e a Siviglia 1999 55.
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