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Zimbabwe, il golpe "freddo" di Mugabe

Ancora una volta Robert Mugabe, l'ultimo despota marxista dell'Africa nera, si sta facendo beffe della comunità internazionale e, con una specie di «golpe freddo», cerca di mantenersi al potere nello Zimbabwe pur avendo perso le elezioni. Risulta da varie fonti che il 29 marzo il suo sfidante, Morgan Tsvangirai, abbia preso circa il 50 per cento dei voti, e Mugabe solo il 42. Ma a due settimane di distanza la Commissione elettorale centrale, controllata da un fedelissimo del tiranno si rifiuta di pubblicare i risultati, con il pretesto che i controlli non sono stati completati.
Tutti sono convinti che, in realtà, il regime stia usando questo tempo per manipolare le schede. Nel frattempo, ha scatenato una selvaggia repressione: molti esponenti del Movimento per una Svolta democratica, il partito di Tsvangirai, sono stati arrestati o bastonati a sangue, numerosi presidenti di seggi in cui Mugabe è stato battuto sono in prigione accusati di falso, è ripresa la caccia ai pochi agricoltori bianchi rimasti nel Paese dopo gli espropri degli anni scorsi e una manifestazione dell'opposizione in programma per oggi è stata vietata dalla polizia.
È evidente l'intento di intimidire gli avversari, forse in vista di un possibile ballottaggio che, per legge, dovrebbe svolgersi entro tre settimane. Insomma, pur avendo portato il Paese al disastro, con una inflazione del 100.000%, una disoccupazione all'80 e un terzo della popolazione ridotto alla fame, Mugabe, a 84 anni, sembra deciso a restare in sella anche a costo di scatenare una guerra civile.
La situazione è diventata talmente esplosiva, che il presidente del vicino Zambia Levy Mwanawasa, nella sua qualità di presidente di turno della Associazione per lo sviluppo dell'Africa del sud, ha convocato ieri a Lusaka i leader dei quattordici Paesi membri per trovare una via d'uscita. Mugabe, forte della sua aureola di eroe della guerra di liberazione cui tutto è permesso, ha rifiutato di partecipare e fatto sapere ai colleghi che ad Harare non esiste alcuna emergenza. Incredibilmente il presidente sudafricano Thabo Mbeki, l'unico che forse potrebbe indurlo ad accettare il verdetto popolare, ne ha avallato la tesi, rafforzando l'impressione che tra i due esista un patto scellerato. Con tanti saluti a Kofi Annan, per cui «lo Zimbabwe è sull'orlo del disastro».
Nessuno osa prevedere che cosa succederà martedì, quando Tsvangirai ha invitato la popolazione a iniziare uno sciopero generale a oltranza. Polizia ed esercito sono rimasti al fianco del vecchio despota e hanno gli strumenti per soffocare la rivolta in un bagno di sangue.

Se - come è probabile - i Paesi vicini non interverranno, potremmo avere, quantomeno, un bis del Kenya; e ancora una volta dovremo costatare quanto difficile sia esportare la democrazia in Africa e come un Paese che era la perla del continente possa essere distrutto nel giro di una sola generazione.

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