Perugia - I giudici arrestati a Perugia «hanno reiteratamente e costantemente fatto mercimonio della loro funzione pubblica, intervenendo sulle decisioni che i rispettivi uffici dovevano» assumere. Un «continuato asservimento delle funzioni giudiziarie» in cambio di regalie e favori da parte di quello che si configura come un «comitato di affari cementato dalla passione per la caccia».
La gip Claudia Matteini, che martedì ha ordinato gli arresti, ha ipotizzato l’esistenza di un’associazione a delinquere bene organizzata ed efficace che stona con luoghi comuni, duri a morire, che vogliono l’Umbria pacifica e francescana. Uno dei protagonisti è conosciuto: Leonardo Giombini, l’imprenditore edile delle locali Coop rosse con molti amici tra gli amministratori locali che nel maggio scorso fu arrestato per false fatturazioni, evasione fiscale, falso in bilancio e riciclaggio di denaro. Una detenzione «confortevole» - secondo quanto emerge dalle intercettazioni relative a quest’ultima inchiesta - al termine della quale Giombini è riuscito addirittura a rafforzare il suo potere. Tanto da condizionare le decisioni della giustizia sul suo conto. Il tutto grazie alla collaborazione dell’altro imprenditore arrestato, l’incensurato Carlo Gradassi e, soprattutto, di due alti magistrati: Lanfranco Balucani, consigliere di Stato prima al Tar dell’Umbria, e Vincenzo Maccarone, sostituto procuratore della corte di Cassazione.
La situazione descritta nell’ordinanza è precisa. «Da un lato - spiega il magistrato citando la tesi dell’accusa - si hanno alcuni imprenditori che offrono spazi (alberghi, riserve di caccia), svaghi (gratuite battute di caccia e cene) e regalie (giacche e fucili da caccia), dall’altro si hanno alcuni alti magistrati che a fronte di tanto interessata disponibilità dei primi sono pronti ad operare in violazione dei doveri d’ufficio».
Le accuse formulate per tutti sono di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di corruzione giudiziaria, abusi di ufficio, rivelazione di segreti d’ufficio e corruzione in atti giudiziari. Ma i giudizi più duri i magistrati perugini li riservano ai due colleghi. Le regalie citate sono di poco conto. Vanno da un olio «top del top» a una giacca, fino a un fucile del valore di 2.100 euro (destinati a Maccarone). In cambio, scrive il gip, i magistrati violano il segreto d’ufficio, comunicano date di udienze ancora ufficiose, decisioni ancora non pubblicate, forniscono informazioni impegnandosi ad intervenire su altri appartenenti al loro ufficio.
Favori che secondo l’accusa hanno un effetto concreto perché avrebbero inciso sul risultato positivo della sentenza di Cassazione che ha annullato il sequestro dei beni dello stesso Giombini relativo all’inchiesta dell’anno scorso. In sostanza - si legge nell’ordinanza - i due magistrati «non hanno avuto scrupoli nel ridurre la giustizia ad una merce di scambio per essere accolti nel mondo d’oro del potere economico». Il tutto era però presentato dagli stessi protagonisti come l’attività di una «cricca di amici» («qui sem seri, noialtri lo facemo di cuore», una delle frasi riportate nell’ordinanza alla quale Maccarone risponde poco prudentemente: «ho visto, ho visto, perciò vi frequento»). Sorprende soprattutto - e per i giudici diventa un argomento per non concedere a nessuno gli arresti domiciliari - l’ascesa di Giombini anche dopo l’inchiesta che l’anno scorso fece tremare per un po’ la politica umbra, da sempre saldamente nelle mani della sinistra, e la cooperazione della stessa parte politica. Nel periodo di carcerazione Giombini ha raccontato «con estrema spontaneità» di aver «potuto contare sulla solidarietà di personaggi sicuramente molto influenti in ambito locale oltre che in un ambiente carcerario confortevole». Come nel maggio del 2005, anche in questi giorni nel capoluogo umbro un po’ tutti si aspettavano il coinvolgimento dei vertici politici regionali e cittadini. Un’eventualità che il procuratore capo Nicola Miriano, interpellato dal Giornale, ha smentito categoricamente.
Nell’ordinanza ci sono poche tracce di rapporti con i politici. Per lo più - sembrerebbe - tentativi falliti di agganciare quelli che contano. Come quello di coinvolgere il sindaco di Perugia Renato Locchi in una battuta di caccia (invito declinato «a causa di precedenti impegni»). O come una discussione intercettata tra i due imprenditori nella quale si fa riferimento ad una Rita, che gli inquirenti ipotizzano possa essere la governatrice Lorenzetti, alla quale non sono mai stati chiesti favori, «anche se è stata lei a chiederne». Il presidente diessino comunque respinge ogni sospetto: «So solo che non sono turbata né tantomeno coinvolta». Per il momento sono ridimensionate le attese di chi immaginava una seconda fase dell’inchiesta con i politici come protagonisti. Ma in Umbria la politica difficilmente resta fuori dalla porta. E sono i magistrati stessi ad ipotizzare che la forza degli imprenditori arrestati non stia solo nei soldi. È fondato, si legge nel documento, «il sospetto che l’azione di imprenditori affermati sia stata in larga misura favorita dall’appartenenza ad un sodalizio sul territorio e ben collegato a soggetti con incarichi istituzionali».
Parole che non dovrebbero comunque preludere ad una fase politica. Anche se l’inchiesta è solo all’inizio e tutti danno per scontati altri arresti, a partire dalla difesa, che ieri ha osservato come: «Non vi è alcun indizio significativo capace di confermare l’ipotesi secondo cui i colloqui tra i magistrati abbiano interferito, alterandolo in senso positivo, su provvedimenti adottati da organi collegiali composti da magistrati di altissimo livello, del tutto estranei all’indagine in atto. Un «non c’entriamo nulla» su tutta la linea.
«Vedremo le carte processuali e quali sono gli elementi a carico dei magistrati arrestati.
Perugia, tutte le accuse alle toghe eccellenti
Ecco l’ordinanza che ha aperto le porte del carcere al sostituto procuratore di Cassazione Maccarone, al consigliere di Stato Balucani e a due industriali. La Procura umbra: «Tra i magistrati e gli imprenditori arrestati un comitato d’affari cementato dalla passione per la caccia». Il gip: «In cambio di favori, ai giudici venivano offerte battute venatorie, fucili, hotel, cene e regali»
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