Cultura e Spettacoli

1977: «HAPPY DAYS» CELEBRA GLI ANNI ’50

Il 12 agosto 1977 apparve per la prima volta in Rai un serial destinato a diventare un vero cult per milioni di giovani, ma anche per tanti mamme e papà che non si perdevano una puntata. Lo stesso fenomeno era avvenuto tre anni prima negli Stati Uniti, dove Happy days, ideato dal regista Garry Marshall, che diventerà famoso molti anni dopo con il successo straordinario del film Pretty woman, era letteralmente esploso, battendo tutti i primati di audience. Se negli Stati Uniti il serial era partito senza alcuno spot e senza l'apporto della stampa, da noi era stato programmato addirittura in pieno agosto e in un periodo molto difficile della vita italiana, contrassegnata dalla violenza politica e dal terrorismo. Da noi il segreto del successo di Happy days, sul quale gli opinionisti si scatenarono, era probabilmente nel suo anacronismo. Che cosa c'era di più lontano dall'Italia di allora dell'ambiente americano degli anni Cinquanta, di Elvis Presley e del rock'n'roll, dei ragazzi che si atteggiavano a teddy boys, dei drive in dove essi facevano le loro prime esperienze sentimentali? Era l'America di vent'anni prima che veniva rappresentata, un Paese sereno e sano dove non esistevano veri conflitti e, se c'erano, venivano risolti con equilibrio e con intelligenza. I tre protagonisti di Happy days, Richie, «Potsie» Weber e Ralph Malph erano colti nei loro sogni e nelle loro ambizioni, ma anche nelle loro piccole ribellioni. Bravi ragazzi, figli della media borghesia, avevano come loro eroe e quindi punto di riferimento Fonzie, un semplice meccanico, dal sorriso malandrino e dalla simpatia irresistibile, che incantava ogni ragazza. Il ritratto dei giovani era, peraltro, accompagnato da quello dei genitori. Felicissimo era quello del papà e della mamma di Richie, pieni di buon senso, disponibili a venire incontro ai loro figli e a capirne le esigenze, ma anche sempre in grado di essere comunque dei genitori e non dei compagni più anziani. Happy days era un ritratto esemplare e convincente della provincia americana, che è assai diversa da quella delle grandi metropoli che il cinema ci ha proposto, con la loro carica di violenza e di emarginazione. Un ruolo non secondario nel successo lo ebbero anche la musica e le canzoni degli anni Cinquanta, che erano espressione di un mondo ormai lontano eppure vivissimo nel ricordo di tanti genitori, ma anche caro a tanti giovani che collezionavano i dischi di quella stagione d'oro della creatività musicale.

L'attore, timido e bruttino che interpretava Richie, Ron Howard, è diventato recentemente un regista da Premio Oscar per lo splendido A beautiful mind.

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