Gian Micalessin
da Metulla
Nubi bianche. Batuffoli di fumo avvinghiati alle creste delle alture. Sopra il crepitare delle fiamme. Sopra la caligine dei prati. Tra il boato delle esplosioni. Di qua i missili di Hezbollah, leco cupo della terra ferita, delle case colpite. Terremoti senza ritmo. Esplosioni in ordine sparso nellinferno fragoroso della risposta israeliana. Obici e mortai, cannoni e carri armati in un tremore continuo, assordante, impietoso. «Continueremo fino a quando non avremo raggiunto i nostri obbiettivi». A Gerusalemme il premier Ehud Olmert lha appena promesso ai suoi ministri. A Metulla è guerra aperta. Ma leco della strage di Cana fermerà le bombe. Almeno per 48 ore. Gerusalemme ha accettato la sospensione dei raid, anche per avviare unindagine su quanto accaduto. Alla notizia gli Usa hanno immediatamente espresso la loro «soddisfazione». Ma questo non vuol dire che i cannoni rimarranno freddi per molto. Anzi. Lesercito israeliano ha annunciato che entro mercoledì creerà una zona cuscinetto di due chilometri lungo la frontiera meridionale del Libano e concederà 24 ore ai residenti per lasciare larea. Il motivo: prepararsi a una nuova grande offensiva contro gli hezbollah.
Offensiva che qui a Metulla è scattata laltra notte. È partita da questo dito di territorio allungato nel cuore della nazione libanese, incuneato tra le alture del Golan a oriente e le pianure del Litani sul versante nordoccidentale. Un trampolino verso la valle della Bekaa. Una rampa di lancio verso quel confine tra Siria e Libano dove scorre il fiume di armi e munizioni che dalla Siria irriga gli arsenali di Hezbollah. Truppe e mezzi sono già pronti a tagliare la giugulare della guerriglia sciita. La nostra auto e quella di qualche altro giornalista avanza tra questa surreale retrovia dacciaio trasformata da bombe e missili in un appendice di battaglia. «Cosa fate lì? Siamo sotto i bombardamenti, i militari devono stare al riparo, non possono parlarvi, cercate un rifugio o raggiungetemi in paese», suggerisce al telefono il portavoce militare di Tsahal.
Per un attimo i missili concedono tregua. Se chiedi dove andranno, i soldati alzano il pollice, indicano la vetta fumosa 300 metri più su. I loro compagni sono già lì dalla scorsa notte. «Li raggiungiamo tra qualche ora, ma non so neanche cosa dobbiamo fare. Aspettiamo solo lordine», dice un sergente capocarro senza nome. Gli altri sono oltre la coltre nera, oltre le esplosioni, stretti intorno al nuovo obbiettivo. Si chiamano Taibè, Aadaisse, Kfar Kia, Deir Mimess, sono un pugno di villaggi in un raggio di sei chilometri. Sono le nuove roccaforti da espugnare. Il primo scoglio da superare prima della valle della Bekaa e delle pianure a nord del Litani. Ma non è facile. Le televisioni arabe e voci non confermate dallo stato maggiore israeliano parlano già di due caduti e di almeno sei feriti. Nonostante due settimane di incursioni aeree, nonostante il serrato, tempestoso martellare degli obici da 155 e dei mortai da 120, gli Hezbollah non mollano. Rinchiusi nei loro bunker di pietra e cemento, i combattenti sciiti resistono e attendono. Sopportano la tempesta di bombe e granate, trovano tempo e coraggio per puntare missili e katiusha. Qui sulla linea del confine non cè tempo per allarmi e sirene. Qui gli ordigni partono e arrivano in una manciata di secondi. Tra le case di Metulla, 800 metri più indietro, una voce metallica e sinistra segnala di cercare riparo qualche secondo prima di ogni impatto. Se sei allo scoperto puoi solo buttarti a terra e sperare.
A parte case, soldati e giornalisti non cè molto da colpire. Gli abitanti hanno abbandonato tutto o sopravvivono rintanati nei rifugi. Ma le decine di missili prima o dopo qualcosa centrano. A Kyriat Shmona, il capoluogo deserto, dieci chilometri alle nostre spalle, le schegge feriscono Yuval Azulay, corrispondente del quotidiano Haaretz, e altri tre civili. Le statistiche odierne parlano di almeno 140 missili caduti da qui ad Haifa in meno di dodici ore. Una trentina sono esplosi tra qui e Kyriat Shmona. Nellalbergo di Metulla trasformato in quartier generale della stampa internazionale, gli ufficiali portavoce dellesercito negano di sapere qualcosa. «Non sappiamo di nessuna nuova offensiva.
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