Il 7 marzo 1945 e la riunione maledetta per far fuori Bisagno

Il 25 aprile è appena trascorso, ma voglio ancora una volta ricordare il più puro, più glorioso dei partigiani Aldo Gastaldi (Bisagno) e con lui il suo fedelissimo Elvezio Massai (Santo), scomparso poco meno di un anno fa e dal suo libro traggo queste mie note. Lo storico Giorgio Gimelli (appartenente alla sinistra) nel suo scritto Cronache militari della Resistenza in Liguria, almeno a mio parere, sembra voler giustificare le tesi comuniste su quella «maledetta» riunione di Fascia contro quelle del glorioso comandante della «Cichero» pur riconoscendogli personalità intraprendente e coraggiosa, ma Elvezio Massai ne contesta decisamente deduzioni e conclusioni. Ma veniamo ai fatti.
Il 7 marzo 1945 ci sarebbe stata quella «maledetta» riunione per sostituire Bisagno o per silurarlo o magari per assassinarlo e la notizia la diede lo stesso Bisagno a Santo il giorno prima. I due eroi (M.O. e M.A. al V.M.) parlarono a lungo dei rapporti con i veri comandi e dei provvedimenti presi nei confronti di Bisagno (spaccare in due la «Cichero» e formare una nuova divisione da affidare a «Scrivia» - Aurelio Ferrando - che da buon Dc tavianese aveva detto d’essere contrario, ma aveva accettato) e di molte altre non certo «buone e belle situazioni» verificatesi nella Resistenza.
Santo era a Loco e dopo circa un’ora arriva «Carletto» la staffetta del Comandante Bisagno, con due biglietti: uno informava che il comando di zona aveva deciso di trasferirlo e se non avesse accettato sarebbe stato disarmato e mandato a casa e di raggiungere subito Fascia con il suo distaccamento e di avvertire quelli del Vestone di fare la stessa cosa; l’altro destinato a «Banfi» (Eugenio Sanna) che diceva di spostare i distaccamenti della Brigata verso la Val Trebbia e di recarsi a Fascia. Per Santo non vi furono dubbi: Bisagno stanco dei continui soprusi aveva deciso di agire. Santo e i suoi uomini con armi e munizioni si misero in marcia e per evitare delusioni od altro, anche per l’insistenza del suo commissario «Paolo», forse già messo a conoscenza, informa «tutti del tutto» ed affermò anche che forse si sarebbe dovuto fare uso delle armi. A mezzogiorno tutto il raggruppamento arrivò a Fascia e notò il partigiano «Attilio» (Annino Pizzorno - comunista) venirgli incontro, continuò ad avvicinarsi e chiese con arroganza «dove andavano e cosa volevano». «Nello» (Bentassi Nello) accanto a Massai con lo «sten» spianato gli gridò: «Se fai ancora un passo, ti buco». Il partigiano «Attilio» perse del tutto la baldanza, si fermò e si limitò a chiedere: «Ma che cosa volete». Santo rispose: «Vogliamo parlare con Bisagno». Dopo un interminabile silenzio, Bisagno affermò: «Abbassate le armi». «Scalabrino (il partigiano Mascellani Mario) ed i suoi erano arrabbiati con Massai ed i suoi non perché essi stessi fossero intervenuti in difesa di Bisagno, ma perché non erano stati avvertiti di cosa stava succedendo ed anzi erano perfettamente d’accordo con «Santo». Successe poi l’imprevisto, quando «Paolo» informò «Marzo» (G.B. Canepa) che il distaccamento Alpino di Santo aveva deciso di intervenire, armi alla mano in difesa di Bisagno. Il valoroso Massai, che in sostanza salvò la vita a Bisagno, fu giudicato degno di condanna a morte e a questo punto la tensione divenne palpabile. Gli uomini di Elvezio circondarono l’osteria e i presenti mettendo mano alle armi e disposti a tutto.
Il comandante «Croce» sostenne la requisitoria contro Santo.

La proposta però non fu accettata, perché gli uomini del comando si resero subito conto che se qualcuno si fosse avvicinato a Santo per arrestarlo, lui e i suoi fedelissimi avrebbero sparato senza il minimo dubbio. Bisagno ordinò a Santo di smetterla.
Sarebbe bastato un semplice cenno di Bisagno e gli uomini di Santo avrebbero disarmato tutti e la storia in sesta zona avrebbe avuto un nuovo e diverso seguito.

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