Dopo 8 anni il pm s’arrende: «Non ho elementi di accusa»

Più dell’archiviazione mancata, o meglio non concessa in automatico dal Gip, contano i fatti. E i fatti, anzi il fatto, è uno solo: che uno dei sostituti di punta per quanto riguarda le inchieste di mafia della Procura di Palermo, il pm Nino Di Matteo, dopo otto anni di indagini, è arrivato a una conclusione univoca: l’inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa contro Saverio Romano, quell’inchiesta che ha provocato le riserve del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sulla nomina a ministro dell’Agricoltura del leader del Pid, va archiviata. Romano è innocente e comunque non va processato perché, dice il pm, non ci sono «elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio».
È questo il dato. Questo e quel che il Gip di Palermo deciderà il prossimo 6 aprile quando, convocate le parti, chiarirà perché ha preferito chiedere chiarimenti prima di decidere per sentenza se dire sì al Pm e archiviare il caso; se sconfessare le conclusioni della Procura e rinviare a giudizio il neo ministro; o infine se indicare temi suscettibili di ulteriori approfondimenti in un’indagine che, è bene ricordarlo, in otto anni non ha prodotto nulla. È dal 2003 che Saverio Romano sta sulla graticola per quel reato dai confini labili che è il concorso esterno in associazione mafiosa, anomalia giuridica tutta italiana. Cosa avrebbe fatto il neo ministro? Quello che in una terra come la Sicilia non è inconsueto venga contestato a chi fa politica: avere ricevuto l’appoggio elettorale delle famiglie di Cosa nostra, avere messo in lista, su input di personaggi in odor di mafia, candidati graditi alle cosche. A chiamarlo in causa sono alcuni pentiti, che lui nel tempo ha regolarmente querelato: Angelo Siino, che parla delle elezioni regionali del 2001, e Francesco Campanella, che prima di diventare per tutti l’uomo che ha procurato la carta d’identità al superlatitante Bernardo Provenzano, era un giovane politico in carriera, presidente del Consiglio comunale di Villabate, che tanti conoscevano e che tanti ha accusato da quando è collaboratore di giustizia, da destra a sinistra. Nella richiesta di archiviazione, pochissime pagine se si considera che gli anni d’indagine sono otto, il Pm ritiene storicamente provato un solo episodio: un pranzo a Roma a Campo dei Fiori, di cui parla Campanella, cui era presente il neo ministro. Il pranzo ci fu, è la conclusione dell’accusa, ma quanto alla conversazione raccontata dal pentito, conversazione in cui Romano avrebbe chiesto i voti della mafia, non ci sono prove. Di qui la richiesta di archiviare.
Ancora minore lo spessore dell’altra indagine in cui è invischiato Romano insieme con il senatore Pdl Carlo Vizzini e l’ex governatore di Sicilia Salvatore Cuffaro, dal gennaio scorso in carcere per una condanna definitiva per favoreggiamento aggravato: quella, per corruzione aggravata dall’aver favorito Cosa nostra, scaturita dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino.

Si tratta di una vicenda di presunte mazzette, che a dire di Ciancimino junior sarebbero state versate ad alcuni politici per l’aggiudicazione di appalti a un’impresa di distribuzione del gas di cui il padre era socio occulto. L’inchiesta, partita nel 2009, è ancora nella fase delle indagini preliminari.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica