Cronaca locale

Abelli: «Cè si occupi degli ospedali Il welfare funziona e non si tocca»

Abelli: «Cè si occupi degli ospedali Il welfare funziona e non si tocca»

Marcello Chirico

La ripartizione di competenze è stata riconfermata durante l’ultima riunione di giunta e sancita con una specifica delibera. Che stabilisce quanto segue: le deleghe in materia di assistenza socio-sanitaria continueranno a spettare all’assessorato al Welfare, che fa capo a Giancarlo Abelli (storico braccio destro di Roberto Formigoni in Regione), tutto il resto - dagli ospedali a quant’altro - all’assessorato alla Sanità. Divisione di cui il neo assessore regionale alla partita, il leghista Alessandro Cè, non sembra assolutamente convinto e, dopo aver incassato a denti stretti la riconferma dello status quo, ha già promesso che tornerà all’attacco, «per una questione di logica». Abelli, da parte sua, non ha intenzione di mollare nulla e difende il modello pre-esistente («che tutti ci invidiano», dice) dagli attacchi esterni, e che secondo lui potrebbe essere «messo in crisi dalle ossessive soluzioni», dettate «dall’inesperienza di chi si occupa per la prima volta di questi temi».
Assessore, mi spieghi bene cosa si intende per servizio socio-sanitario, perché il nodo del problema è tutto lì
«Tutte le attività connesse a forme di assistenza sociale alla persona, destinate a garantire un soddisfacente livello di qualità della vita per chi si trova in condizioni di fragilità a causa di un handicap o per patologie croniche connesse con l’invecchiamento. I servizi socio sanitari, attraverso interventi ambulatoriali, domiciliari o in regime di semi o totale residenzialità, danno risposte ai bisogni di anziani, disabili fisici e psichici, dei malati terminali che non richiedono interventi sanitari intensivi, dei tossicodipendenti».
Come viene organizzato tutto questo?
«Con un sistema a rete, completato da strutture riabilitative dedicate ad anziani e disabili. Quest’ultimo aspetto, come previsto dalla legge nazionale 833 del ’78, viene assicurato dagli istituti di riabilitazione extra-ospedalieri. Al termine della scorsa legislatura regionale venne prevista una riforma, attualmente in fase d’ultimazione, che punta a migliorare qualità ed efficienza del servizio, facilitando l’accesso dell’utenza e favorendo l’integrazione con le strutture sanitario-riabilitative».
È sempre stato così?
«Il socio-sanitario viene governato da 10 anni in modo distinto dalla sanità, allo scopo di dedicare maggiore attenzione a questi malati e consentire un’adeguata integrazione tra i servizi di welfare e quelli prettamente medici. A meno che non si considerino pure le Rsa in regime sanitario, allora il sottoscritto dovrebbe occuparsi solo di volontariato...»
Negli anni precedenti al governo della Cdl veniva tutto organizzato in maniera diversa, o sbaglio?
«Fin dall’85 la Regione aveva costituito una struttura di coordinamento nel quale la sanità si differenziava dal sociale».
La divisione di competenze, quindi, ha sempre funzionato
«Su temi di reciproco interesse, partendo ciascuno dalle proprie esperienze di settore, si è sempre dimostrata ampiamente soddisfacente».
Perché allora l’assessore Cè ritiene invece che sia più coerente far gestire tutto dal proprio assessorato?
«Non si comprende come, a fronte di risultati raggiunti e della lunga esperienza acquisita, si riproponga, senza motivazioni corredate da dati reali, l’esigenza di accentrate tutto nell’assessorato alla Sanità che, com’è noto, ha tanti e capillari problemi d’affrontare e risolvere e sui quali sarebbe opportuno sviluppare in questa fase il massimo delle attenzioni».
Sta praticamente invitando Cè a farsi gli affari propri...
«A furia di ipotizzare ossessivamente soluzioni diverse da quelle finora perseguite, si rischia di mandare in crisi un sistema, come quello socio-sanitario, che si fonda su una lunga e positiva esperienza e che costituisce un fiore all’occhiello per la Regione Lombardia. Ma forse nell’impuntatura di Cè esistono ragioni di altra natura».
E lei li ha capiti quali potrebbero essere questi «altri» motivi?
«Probabilmente vanno ricercati semplicemente nella mancanza di conoscenza di quella che è l’esperienza storica in questo settore. Tutti gli operatori conoscono benissimo le caratteristiche del welfare lombardo, e anche dal punto di vista politico queste scelte sono sempre state ampiamente condivise, e questo perché l’attenzione ai bisogni specifici del cittadino stanno a cuore a tutti. Non possiamo quindi permetterci che oggi venga messa in discussione un’impostazione di lavoro, dopo anni di esperienze positive.

Non è il caso di far fare alla nostra Regione inspiegabili passi indietro solo per l’inesperienza di qualcuno che, per la prima volta, si occupa di queste tematiche».

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