ABORTO SELETTIVO L’utopia del figlio perfetto

Ogni anno sono circa 150mila le diagnosi prenatali in Italia L’allarme di Didier Sicard, esperto di bioetica: «È deriva eugenetica»

Quando capita fa comunque male. Alcune di loro finiscono per cercare conforto sui blog. Sono le donne che rinunciano, che dicono no a un figlio non sano, per paura, per un peso troppo grave da portare, perché tutti alla fine sperano in un figlio normale, senza errori di natura, senza pasticci nel Dna. Lasciano storie e messaggi che raccontano il trauma di questa stagione, dove ormai i figli non arrivano, ma si scelgono.
Una ragazza che si firma Michela racconta: «Sono rimasta incinta del mio primo bimbo. Amniocentesi negativa. Per puro caso ho rifatto l’eco morfologica in una clinica privata, diagnosticano l’agenesia del corpo calloso del mio bimbo. Due ore per decidere e tre giorni di dolore (straziante per separarmi dal mio angioletto». Daniela scrive: «Il mio bimbo era Down, un dolore troppo forte. Quattro giorni, notti a straziarmi di dolore, svenendo da sola sul letto. La cosa peggiore è che io non ho figli e ho 45 anni». Chiara risponde: «Ho abortito. Ho più di 40 anni. La mia ginecologa mi incoraggia a riprovarci. Cosa mi consigliate?».
LA PREVENZIONE
Questo è un nodo del problema. Il lavoro ti fa posticipare la maternità. I rischi crescono. Le diagnosi prenatali sono circa 150mila l’anno. L’amniocentesi (96mila l’anno) è l’esame più richiesto, poi villocentesi e cordocentesi. Scienza, tecnologia: si avanza. Si conoscono i dettagli, le anticipazioni. Al secondo mese di gravidanza si può già sapere il sesso del nascituro. Il 2,6 per cento degli aborti sono stati fatti dopo la dodicesima settimana, cioè per rischi di salute o malformazioni del feto. Nel 2006 un rapporto del tribunale dei diritti del malato ha constatato che nel 12 per cento dei casi la diagnosi prenatale è sbagliata. Il 20 per cento di chi sceglie l’amniocentesi ha meno di 35 anni. E questo è il secondo nodo. Le donne, anche se giovani, scelgono sempre più la diagnosi prenatale, sottoponendosi anche a esami invasivi. È il segno culturale di una sindrome del «figlio perfetto». Una selezione in camice bianco che sconvolge la Chiesa cattolica e tutti quelli per cui, un feto e un embrione, sono comunque vita umana. Da qui la richiesta politica di una revisione della legge sull’aborto e un dibattito etico che sta spaccando in due l’Occidente. Sullo sfondo i casi di cronaca, come la storia dell’ospedale San Paolo di Milano. Quando a giugno una mamma perde due gemelle cercando di eliminare quella con la sindrome di Down. I risultati dell’amniocentesi parlavano chiaro. Ma tra il referto e il giorno dell’aborto passano tre settimane. Le gemelle si muovono, si scambiano posto nella pancia. I medici intervengono sulla bambina sana. Subito dopo l’eliminazione anche di quella «sbagliata». Quella probabilmente Down. L’allarme degli anti-abortisti sale e qualcuno evoca il rischio di una Sparta moderna, con i bimbi imperfetti buttati giù dalle mura.
L’ALLARME
Didier Sicard, presidente del Comitato di bioetica francese, parla di deriva eugenetica. «La diagnosi prenatale tende alla soppressione e non alla cura. Cromosomi e geni, che sono il tratto identitario della persona umana alla sua origine, sono ormai considerati “agenti patogeni infettivi che la medicina deve sradicare”. Non è un costume medico, è una ideologia resa possibile dalla tecnica, peggio, è un’ossessione».
Eugenetica è la parola da non pronunciare, quella che fa paura, che fa venire i brividi. La parola brutta. Che fa pensare alle pecore marchiate per distinguerle nel gregge, o nei peggiori dei casi, ai nazisti. Eugenetica come ricerca del più forte, eliminazione del debole, dell’imperfetto da selezionare, da scegliere preventivamente. Che vinca il più forte e non se ne parli più. Il resto è caos. La «libera scelta della donna» si risolve nella maggior parte dei casi nella scelta della strada che appare la meno dolorosa: l’aborto. Quello che resta tra l’opinione pubblica è l’indignazione per l’aver scambiato una bambina con un’altra. Se fosse morta quella giusta non ci sarebbe stato tanto rumore.
LEGGI DA RIVEDERE
Eppure la 194 non parla di aborto eugenetico, anzi, non parla neppure di aborto selettivo, ma terapeutico. «La legge - spiega Assuntina Morresi - non consente l’aborto a causa di malformazioni o anomalie del concepito». La 194 è quella del 1978, scritta praticamente trent’anni fa, quando non c’erano quasi nemmeno le ecografie, voluta per difendere e aiutare le donne. «La 194 non deve essere toccata. Ma è chiaro che è stata fatta su tecnologie ormai superate - spiega Eugenia Roccella, presidente di Salute Femminile -. Servono i dati, bisogna sapere tutto. Quanti sono gli aborti, quanti bambini sopravvivono e quanti diventano grandi. E quanti sono gli ospedali che chiedono alla madre che sta per abortire il consenso informato affinché i medici possano evitare di prestare soccorso al feto sopravvissuto?».
Qui ci sono due verità, due coscienze, a confronto.

Una mamma può dire: «Non ce la faccio: per mio figlio, che vivrà una vita a metà, e per me». E poi c’è un’altra madre che grida: «Un Down ha diritto a vivere la sua vita». In mezzo c’è un enigma che nessuno ha ancora risolto: quando un feto si può chiamare uomo.

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