Milano - Intanto lui si veste sempre uguale. Da trentacinque anni Angus Young indossa la sua uniforme da scolaretto e giù a suonare rock’n’roll come una volta, quattro accordi e via, roba che ai critici musicali ha sempre fatto venire l’orticaria eppure eccoli ancora qui, i suoi Ac/Dc. Per capirci, nei soli Stati Uniti hanno venduto quasi settanta milioni di album, ossia più di Madonna e Michael Jackson che non sono proprio gli ultimi arrivati. Dopo otto anni di silenzio, oggi esce Black ice, che è il disco che uno si aspetta: puro, sincero, prevedibile come sempre ma accidenti quanta energia sin dai primi accordi di Rock’n’roll train. Per carità, il bello è che uno sa già come va a finire: riff di chitarra, ritornello, assolo di chitarra, chiusa e stop. D’altronde qualche anno fa, scherzando ma non troppo, Angus disse: «In fondo non capisco il nostro successo. Noi abbiamo fatto dieci dischi e la musica è sempre la stessa: sono cambiate solo le copertine». Sarà per questo che quella di Black ice è tutta nera con il famoso logo stampato sopra e basta, nient’altro. Il resto dipende dalle quindici canzoni prodotte dal fenomenale Brendan O’Brien che, in brani candidati a diventare classici come War machine o Stormy may day, ha mantenuto l’ossatura dei suoni e chissenefrega delle mode. Quando, nel 2003, Angus Young è salito sul palco del Toronto Downsview Park per suonare Back in black con i Rolling Stones (concerto benefico contro la Sars, mezzo milione di persone davanti al palco) il rock’n’roll ha mostrato contemporaneamente le sue due facce: quella viziosa e quella ingenua, le paillettes e i muscoli, la trasgressione e il gioco innocente, ripetuto, grottesco. Tanto per capirci, da trent’anni quando gli Ac/Dc suonano Whole lotta Rosie, sullo sfondo del palco si gonfia la gigantesca sagoma di un donnone con un seno enorme, che è la protagonista del brano. E vai con gli applausi. C’è, nella ritualità immutabile degli Ac/Dc, un’ancora di salvezza, un punto di riferimento che diventa sempre più prezioso con il passare del tempo. E le cifre sono qui a dimostrarlo: il loro album più venduto è Back in black, pubblicato nel 1980 poco dopo la morte del primo cantante Bon Scott, schiantato in una sera di febbraio a Londra dopo aver bevuto un mare di whisky. Da allora Back in black ha venduto 22 milioni di copie solo in America ed è il quinto disco rock più venduto di tutti i tempi. E di sicuro loro, gli Ac/Dc, non se lo sarebbero mai aspettato quando nel 1973 iniziarono a suonare nelle cantine di Sydney con quella grinta e quell’incoscienza da studentelli con l’unica ambizione di divertirsi. Il nome del gruppo? Beh, quello dipende da una scritta sulla macchina da cucire di Margaret, la sorella di Angus e Malcolm Young, l’altro chitarrista: Ac/Dc. Da allora sono il simbolo di un modo di intendere il rock e una band più imitata della Settimana enigmistica. Soprattutto, hanno un seguito di pubblico che lascia senza parole. Il loro concerto milanese del 19 marzo prossimo è stato subito raddoppiato il 21 perché i biglietti sono andati esauriti in meno di un’ora. E c’è da scommetterci che saranno in tanti a rivederseli due volte di seguito in una platea che mescolerà cinquantenni e ventenni, vecchi rockettari stempiati e giovanissimi arrembanti, tutti uniti da un suono che germoglia dalle radici del rock, da Cliff Richard e Chuck Berry, e passa per la chitarra di Angus Young, uno dei virtuosi più copiati, così duro, immediato e veloce da diventare un maestro senza essersi mai laureato.
Suona, lui piccolino, sempre correndo sul palco, la chitarra a tracolla che gli sfiora il mento, il sudore che gocciola sulla fronte e quell’energia che è il motore vero del rock, l’unico segreto per suonare per trent’anni allo stesso modo e sembrare sempre nuovi, sempre appena arrivati.Ac/Dc: sempre uguale, sempre nuovo Il rock di Angus Young torna dopo 8 anni di silenzio
Il debutto nel 1973. Da allora ha venduto oltre duecento milioni di dischi in tutto il mondo. La storica band australiana pubblica il cd "Black ice"
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