Addio Cgil, svolta a destra per gli operai della Pirelli

Alle elezioni Rsu nello stabilimento milanese della Bicocca, fortino storico della sinistra, il 45% vota Ugl

da Milano

È come se la curva della Juve si mettesse a tifare Inter. Oppure si può provare a immaginare la sezione (ex) Palmiro Togliatti che si iscrive in massa al Pdl. Ma forse basta la realtà. Alle elezioni della Rsu Pirelli Bicocca, luogo storico del sindacato che più di sinistra non si può, il 45 per cento dei voti è andato alla Ugl, la sigla della destra. I protagonisti perdonino le semplificazioni (che non amano) ma fa effetto vedere la bacheca di viale Sarca, roccaforte della Cgil, culla e biberon di Sergio Cofferati, convertita alla causa della destra sociale.
Sulla prima pagina del Manifesto la lettera dei transfughi è da autocoscienza anni Settanta, leggi e senti il fumo delle sigarette sul rimuginìo dei cervelli, il tuffo carpiato di cuori abituati a battere a sinistra. «Dalla Cgil all’Ugl: «Vi spieghiamo perché» scrivono i delegati Pirelli Bicocca passati al nemico. «Non rinneghiamo nulla, ma la realtà con la quale ci siamo spesso confrontati ha deluso gran parte delle nostre aspettative». Segue un’analisi pacata che è un’accusa impietosa: «Abbiamo trovato di frequente un distacco netto tra sindacato e lavoratori, simile a quello che c’è oggi tra politica e cittadino, molto pensiero politico, grandi aree di superficialità e improvvisazione, autoreferenzialità e difficoltà a capire i veloci cambiamenti del mondo del lavoro in questi ultimi anni».
Può esserci qualcosa di peggio? C’è. La lettera racconta l’interferenza arrogante di chi si mette di traverso, quel che ai tempi del Partito comunista si chiamava centralismo democratico e oggi chissà, teoria delle élite o semplice sete di potere. Dall’astratto al concreto, «l’aspetto più deludente ha riguardato la contrattazione aziendale o di secondo livello, dove le Rsu dovrebbero essere protagoniste e avere ampia autonomia decisionale, mentre spesso ci è capitato di essere scavalcati da scelte prese dalle strutture che ben poco sanno del vissuto quotidiano all’interno di un’azienda».
Potevano strappare la tessera e lamentarsi tra di loro alla macchinetta del caffè, hanno deciso di «tentare una nuova strada» che almeno un po’ ricorda la vecchia. Ieri Pirelli Bicocca era in sciopero. Otto ore su tutti i turni, per le ferie e gli orari di lavoro. Scrivono i post sindacalisti: «L’Ugl è una struttura in forte mutamento dove ci è sembrato di cogliere che il “fare sindacato” venga prima della politica, e con ciò vorremmo dissipare ogni dubbio che questa scelta sia stata frutto di motivazioni politiche».
Non sono diventati fascisti, per dirla in soldoni. Lo sussurrano davanti a quelli che un tempo erano i cancelli fortificati della Pirelli, attraversati ogni giorno da trentamila dipendenti. Adesso sono gli uffici del centro direzionale, delle ciminiere che furono è rimasto poco così come di falci e martello. I volantini parlano di call center e fondi pensione, hanno il logo dell’Italia e l’azzurro dell’Ugl: «Il nostro è un risultato eccezionale, infrange un dominio durato oltre cento anni». Nel rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie l’Ugl ha spuntato 9 uomini su ventuno. Da monocolore rosso Cgil a bipolarismo made in Bicocca. Una rivoluzione.
È la caduta di un simbolo e lo schianto è assordante. Su questo viale, davanti ai palazzi terrazzati sul verde di Vittorio Gregotti, hanno sfilato picchettatori e picchettati, manifestanti della grande onda del Sessantotto, scioperanti da primato nazionale. È un luogo della sinistra che evapora e cade a pioggia altrove. Nessuno prova nemmeno a parlare di caso isolato, le fughe nell’Ugl sono una tendenza che contagia la Campania e il Nordest e può diventare moda di massa. L’analisi dei flussi parla di elettori di Rifondazione passati alla Lega e alla destra.
Tutto si tiene e quasi non sorprende, semplicemente travolge. Se a Roma Gianni Alemanno vuole essere il sindaco di tutti, il segretario nazionale dell’Unione generale del lavoro, Renata Polverini, non è da meno.

Non nasconde le simpatie, ha fatto i complimenti al primo cittadino della capitale e gli auguri a Gianfranco Fini, ma ha chiesto ai dirigenti di scegliere tra politica e sindacato. Niente simboli di partito quando si tratta di chiudere i contratti.

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