Nel terzo trimestre il Pil è cresciuto dello 0,3% e ciò conferma la ripresa dell'economia. Questi dati, riferiti all'estate scorsa, indicano che stiamo uscendo, lentamente, dalla stagnazione. Ma altri indicano un fenomeno molto più importante di cui si vedono i primi segni in queste settimane: sta finendo anche in Italia il «ciclo dell'ansia» iniziato nel 2001. È una grande notizia perché dopo quasi quattro anni di assenza torna la fiducia, il motore fondamentale di creazione e diffusione della ricchezza.
Il ciclo del pessimismo, in Occidente, è iniziato ai primi del 2001 quando fu chiaro che la bolla borsistica globale 1996-2000 si sarebbe presto sgonfiata, punta da un enorme rialzo del costo del denaro negli Usa. La famiglie americane ed europee che avevano goduto per buona parte degli anni '90 anni di guadagni finanziari spropositati si trovarono di colpo in una prospettiva di perdita. Così le imprese. E fu un primo colpo alla fiducia, cioè all'idea che il domani sarebbe stato migliore dell'oggi. Il secondo venne dagli attentati dell11 settembre e dal ritorno del «linguaggio di guerra» dopo che gli occidentali si erano illusi che l'implosione dell'impero sovietico avrebbe comportato un futuro senza conflitti. Il terzo colpo alla fiducia fu inferto, nel 2002 e 2003, dagli scandali finanziari e dai fallimenti di grandi aziende quotate. La sbolla non permise più acrobazie finanziarie e le aziende che le praticavano caddero e con loro, appunto, un altro pezzo di ottimismo. A queste botte si aggiunse l'effetto della «produttività impoverente»: le aziende preoccupate per il futuro massimizzarono l'efficienza tagliando il tagliabile sul piano dei costi. Ciò aumentò i profitti, ma mise in stato di incertezza milioni di lavoratori, sia negli Usa sia in Europa, principalmente in Germania. E si possono aggiungere tante altre botte, tra cui la caduta del dollaro che non solo ha penalizzato le esportazioni europee, ma anche favorito quelle cinesi diventate supercompetitive perché denominate in valuta agganciata al dollaro stesso. Tutto questo pandemonio è successo tra il 2001 e la metà del 2005. In Italia anche peggio. La trasformazione della lira in euro, nel 2002, ed il rialzo dei prezzi - il cui contenimento non fu predisposto culturalmente e tecnicamente da chi avrebbe dovuto farlo, cioè il governo dell'Ulivo in carica fino all'estate del 2001 - erose il potere di acquisto delle famiglie e le lasciò impaurite e pessimiste. In America il ciclo dell'ansia, per lo meno i suoi effetti economici, finì già nel 2003 grazie ad una politica di emergenza che sacrificò la stabilità della finanza pubblica per ricostruire la fiducia. Che tornò sulle ali del boom, pur al prezzo di un rischio elevato di inflazione. L'Europa restò ferma, l'euro intrappolato in un cambio svantaggioso per l'export, i governi ingabbiati da un Patto di stabilità che non prevedeva stimolazioni d'emergenza, in base alla dottrina, sbagliatissima, dell'equivalenza tra stabilità e fiducia. Ed il pessimismo pervase il Continente, l'Italia più di altri. Ora finalmente si vedono i segni del ritorno della fiducia. La gente si sta abituando all'euro ed ha imparato a muoversi meglio tra i nuovi prezzi. La quantità di risparmio bruciata da cadute delle Borse e scandali è stata lentamente ricostituita e ciò fa respirare le famiglie. Le aziende hanno tenuto e l'export si riprende grazie ad un riallineamento del cambio. Vi sono crisi competitive di settore, ma non di sistema. Alla fine, la popolazione si sta accorgendo che la tempesta sta passando. Infatti gli indicatori di fiducia stanno risalendo. Soprattutto, il governo non ha avuto i mezzi sovrani - ceduti all'Europa nel 1999 - per stimolare l'economia come fatto in America, ma non ha compiuto errori gestionali ed ha saputo evitare un peggiore impatto del ciclo dell'ansia. Da cui stiamo uscendo anche grazie a questa buona politica.
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