Cultura e Spettacoli

Addio Occidente, Giappone "mon amour"

Muriel Barbery (ospite al Festival di Mantova) ha venduto milioni di copie con L’eleganza del riccio ma non sopporta il peso della fama, le interviste e i fan. Si è rifugiata a Kyoto con il marito. E senza blog

Addio Occidente, Giappone "mon amour"

In Italia l’hanno recensito perfino su Il carabiniere e su Polizia moderna. Qualcuno ha dottamente argomentato che il segreto del fenomenale successo sia tutto nel titolo: eh sì, merito di quel titolo così originale e azzeccato... Altri hanno dottamente argomentato l’esatto contrario: con un titolo così brutto e incomprensibile, come avrà fatto ad attirare milioni di lettori? L’eleganza del riccio di Muriel Barbery (Edizioni e/o, pagg. 321, euro 12) non si sottrae alla regola dei best seller, per cui ogni «caso editoriale» è un caso a sé e non risponde a nessuna regola. Anche perché se qualcuno trovasse l’alchemica formula del best seller, il gioco sarebbe finito e avremmo cloni editoriali senza nessun interesse.

Il primo libro di Muriel Barbery scritto nel 2000 (Una golosità, edito da Garzanti nel 2001 e ora ripubblicato da e/o con il nuovo titolo Estasi culinarie) narrava del più famoso critico gastronomico mondiale che nel letto di morte ricerca il sapore perfetto e ripercorre la propria esistenza per capire dove abbia perso il gusto della vita per inseguire il gusto del cibo. Ebbe un discreto successo, qualche traduzione all’estero, ma niente di particolare.

Invece L’eleganza del riccio ha venduto in Francia un milione e 700mila copie. In Italia ha superato il milione (oscilla ancora, dopo due anni dall’uscita, tra il nono e il decimo posto nella classifica della narrativa straniera). Cosa più unica che rara per un romanzo francese, è riuscito a far breccia nell’atavica diffidenza degli americani per le opere non autoctone e la Europa editions (confratella americana delle Edizioni e/o) è riuscita recentemente non solo a pubblicarlo, ma a venderne - per il momento - 300mila copie. Non poteva mancare il film, e infatti hanno fatto pure quello. In Francia è uscito la scorsa primavera, in Italia arriverà dopo Natale.

Ma tutto questo potrebbe lasciarci assolutamente indifferenti. Non sarebbe la prima grandissima ciofeca che vende milioni di copie. Invece non è questo il caso: se per qualcuno è solo un romanzetto pretenzioso pieno di difetti e letterariamente sgangherato, noi - pur vedendone i limiti - pensiamo che sia utile e divertente. Ancora più raro, quindi.

E ci chiediamo: perché questo riccio è così maledettamente attraente? Perché parla del mistero della vita. E poi anche del segreto della bellezza. Della ricerca dell’assoluto e di altri quesitucci filosofici di questo tipo. Chi lo legge, più che in altri casi, si domanda: come sarà questa Muriel Barbery? Che sia un riccio è chiaro fin dalla prima pagina: «È protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma c’è il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente insolenti, risolutamente solitari e terribimente eleganti».
Come le due protagoniste del romanzo, la Barbery si difende dal mondo. Ma sarà più simile all’adolescente Paloma, che cerca l’assoluto nell’arte e progetta di suicidarsi per non diventare un pesce rosso nella bolla di vetro? Oppure sarà come Renée la portinaia che ama Tolstoj e distrugge la fenomenologia di Husserl mentre ascolta Mahler, guarda in dvd Viaggio a Tokyo della regista giapponese Ozu ma tiene accesa la tv per mascherare il suo segreto?
La Barbery non ama parlare di sé. Nelle poche interviste che rilascia, quando si arriva alle domande personali il riccio si chiude. Figuriamoci dopo il successo planetario. Per difendersi ancora di più ha portato i suoi aculei fino a Kyoto. Rifugge la fama. Non ama la folla, tanto che insieme con l’amato marito Stéphane (al quale ha dedicato il primo libro) che è un sociologo ma ormai fa il suo consulente editoriale, avevano lasciato Parigi per vivere in un paesino della Normandia. La Barbery insegnava filosofia, un lavoro che non la entusiasmava più. A Kyoto ha coronato il suo sogno. Ora, grazie ai soldi del successo, può concedersi il lusso più prezioso: libertà e tempo. La possibilità di viaggiare, leggere e scrivere senza vincoli. Dice che quando torna in Francia si sente come se sbarcasse tra i barbari e non rimpiange affatto l’Europa.
È un anno e mezzo che sta in Giappone. All’inizio lei e Stéphane avevano aperto un blog: lei scriveva, lui pubblicava foto. Poi l’hanno chiuso: troppi fan, che stress. Stanno scrivendo un nuovo libro, a quattro mani, forse lo firmeranno insieme. Ma non si sa niente di più oltre al fatto che non si svolgerà più in rue de Grenelle al numero 7. La Barbery è evidentemente andata in Giappone perché vivere a contatto con la grazia, la bellezza e l’essenzialità di questa antica cultura è il regalo più bello che poteva farsi. È una vita che cerca l’essenzialità della bellezza senza orpelli. È la domanda chiave della sua vita. E pare che là, nelle atmosfere rarefatte dei film di Ozu, abbia trovato quello che cerca.

Sembra davvero di stare nei suoi romanzi. La ragazza è un po’ eccentrica? Sicuro. Ha raccontato che il suo miglior amico è un tizio che si occupa di caldaie. «Non legge, non va a teatro, non ascolta musica, se ne frega dell’arte».

E meno male che c’è qualcuno con i piedi per terra, in quella casa.

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