Agassi come Obama: i Vip dell’orgoglio drogato

È il fatto del giorno, che più fatto non si può: Andre Agassi si è drogato. Lo ha detto lui, anzi lo ha anticipato attraverso il Times, perchè l’outing non è gratis, ma un capitolo della sua autobiografia di prossima uscita e non è che di lui ormai si parli tutti i giorni come ai bei tempi. Dice anche, lui che è stato il numero uno del tennis, di aver sempre odiato nell’intimo giocare a tennis. Ma a farglielo dire deve essere probabilmente l’effetto postumo di qualche metilfenidato da sballo. Il fatto del fatto: nel 1997 durante un controllo fu trovato positivo alla metanfetamina di tipo Crystal. «La mia carriera, il mio nome, quello che avevo realizzato, tutto rischiava di finire»: scrisse all’Atp, spiegando di essere un dopato per caso, aveva bevuto una bibita e dentro la bibita c’era quello che non ci doveva essere. L’Atp, più fatta di lui, decise di credergli sulla parola e archiviare caso e squalifica: «Mi sentivo pieno di vergogna, giurai che quella sarebbe stata l’ultima bugia». Ma ormai è tardi per pentirsi. E il libro è già pronto per le stampe.
La morale è la solita: c’è sempre una fata cattiva in ogni fiaba, basta un’esitazione, un piccolo guasto, un vuoto improvviso. Vivono in un altro mondo, in un’isola di famosi, ma anche loro hanno invasori, aggressioni, paure. Li risolvono con una pasticca, o con un prezioso uovo Fabergè pieno di cocaina, ecstasy e Rohypnol da portare in viaggio per il mondo come Kate Moss. Vantandosene dopo, non si capisce mai perchè.
Angelina Jolie per esempio ha confessato di non essersi fatta mancare niente, coca, ero, marijuana, di avere esagerato «perchè avevo bisogno di qualcosa che mi facesse sentire bene». Whitney Houston, che il crack ha trasformato in sua nonna, ha confessato a Oprah Winfrey che la sua droga era il marito Bobby facendo così, casualmente, il nome del pusher. Naomi Campbell alla Abc ha rivelato che «la cocaina mi stava ammazzando: nel periodo buio della dipendenza, mi aveva davvero ridotta ai minimi termini».
Il pentimento tossico è un’ossessione che dilaga, una competizione tra famosi, non desta scandalo e non solleva biasimo, fa parlare e basta che è l’unica cosa che conta. C’è chi dice di aver cominciato giovane come Gianluca Grignani a Vanity Fair «perchè lo facevano gli altri, per divertimento, e soprattutto per la voglia di provare». E chi di aver iniziato tardi come Andrea Roncato a DiPiù «intorno ai quarant’anni, per il piacere di fare qualcosa di proibito, perchè lo fanno in tanti, stupidamente». È stato un carabiniere a convicerlo a parlarne, sei un nome famoso, gli ha detto, il tuo sarà un esempio positivo. Adesso il carabiniere lo fa Roncato. In tv.
Ognuno sceglie il suo confessore di riferimento per liberarsi di quella segreta verità nascosta in qualche angolo dell’anima. Barack Obama ha voluto il reverendo Rick Warren, uno dei principali leader evangelici degli Stati Uniti, in diretta sulla Cnn: «Ho avuto una gioventù difficile: a volte ho usato la droga». Emanuele Filiberto di Savoia si è accontentato di Barbara d’Urso, a Domenica Cinque: «Ho conosciuto la droga, ho conosciuto chi si drogava, ho conosciuto i miei migliori amici che sono morti di questa vera merda». In tutti, dicono, c’è un ansia di identità, una ricerca ossessiva delle radici, un rapporto conflittuale con il mondo, poi sta a vedere che uno mette su tutto sto casino solo per procurarsi un tiro come si deve con la tipa che ci sta.
Robbie Williams: «Ho provato qualunque tipo di stupefacente, ero arrivato al punto in cui non m’importava più di vivere o di morire». Jean Claude Van Damme: «Ero schiavo della cocaina, una notte sono quasi morto: ero terrorizzato».

Bono Vox: «Sono stato circondato dalla dipendenza per gran parte della mia vita, ma ce l’ho fatta, grazie a Dio». Si sono salvati tutti. Per darci adesso la lezioncina d’etica. Ma per interrogarsi su ciò che è bene e cio che è male non è mica necessario conoscere Dio. Basta frequentare Naomi...

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