«Ai Br danno lavoro, ai figli delle vittime no»

Mica si può pretendere una pazienza infinita. Dopo quasi trent’anni di silenzio, Maria Ricci, la vedova dell’appuntato Domenico ucciso dai brigatisti in via Fani durante l’assalto per il rapimento Moro, ieri sera con un’intervista al Tg1 ha puntato finalmente il dito: «Finora siamo stati nell’ombra, ora basta, dobbiamo dire allo Stato “basta” perché è una cosa che noi non accettiamo più». Facile capire il perché di quest’accusa: la disparità di trattamento tra vittime e carnefici, l’orribile luce nella quale continuano a brillare gli assassini e il buio in cui sono precipitati i dolori di chi dopo il sequestro Moro ha dovuto ricominciare daccapo la propria vita. «Sono 29 anni che soffriamo in silenzio - ha spiegato la signora Ricci con accenti che è impossibile non condividere - e abbiamo tirato su i figli con sofferenza».
Nel frattempo - e ognuno lo può notare - i brigatisti si sono ritagliati un ruolo sempre più appariscente nella vita pubblica, tenendo conferenze, concedendo interviste autoassolutorie, accorciando a dismisura i tempi della loro punizione. E con la complicità tacita, persino goduta, di tanti intellettuali, si ritrovano oggi pressoché spurgati di quelle orrende responsabilità. E passi la scelta del magistrato o la benevolenza del legislatore: tante volte sono state inutilmente criticate. Ma lo schiaffo ai familiari delle vittime, a partire da quelli di Aldo Moro, è sempre più amplificato dal silenzio, dall’indifferenza di tanti politici altrimenti lestissimi a gridare allo scandalo, alla violazione della memoria, al tradimento dei martiri. «Io - ha detto al Tg1 la signora Ricci - sono dovuta andare al Senato per chiedere che mio figlio, finito il liceo, potesse studiare all’Università. Oggi ha due lauree, ma allora non mi hanno aiutato. I brigatisti sono stati assunti all’Università, i figli delle loro vittime no».


E in questa disastrosa incongruenza c’è tutto l’ossimoro di chi allora, quando Moro era prigioniero, nel silenzio delle riunioni di partito alzava le spalle e oggi, quasi tre decenni dopo, continua a usare l’indifferenza come anestetico della storia.

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