nostro inviato a Verona
Non piange più, Federica Pellegrini. Il giorno del dolore è stato lunedì, quello della scomparsa di Alberto Castagnetti, «il mio secondo padre», l'uomo che l'ha presa ragazzina e trasformata in fuoriclasse. Le lacrime hanno lasciato il posto alla rabbia, un senso di impotenza prevale sulla disperazione. «Ha sbagliato», si tormenta Fede, e lo ripete come un ritornello, quasi che ridire quelle parole potesse riportare in vita il suo allenatore. «Ha sbagliato tante cose. Ha sbagliato a voler terminare le cure a casa sua, ha sbagliato a non accettare di rimanere altri 15 giorni in clinica, aspettando che il taglio del chirurgo si rimarginasse bene».
Castagnetti ha sbagliato con se stesso, cosa che non gli era mai successa con la Pellegrini. Se ce l'avesse davanti, lei glielo urlerebbe in faccia. Si parlavano fuori dai denti, la campionessa e l'allenatore. «Era un rapporto bellissimo - ricorda - era uno che non mi concedeva qualsiasi cosa, anzi. Per lui non ero una fuoriclasse, mi teneva con i piedi per terra. E a me andava bene così».
Evidentemente il tecnico dei campioni trattava se stesso come i suoi atleti, inflessibile e severo. A loro chiedeva tutto, e ha preteso tutto anche dal suo cuore. «Avevamo deciso di saltare l'America quando avevamo saputo che l'operazione sarebbe stata complicata - racconta la Pellegrini -. Qualche giorno dopo l'intervento era già l'Alberto di sempre. Non vedeva l'ora di ricominciare. Aveva lasciato la clinica, faceva avanti e indietro per i controlli e la medicazione. Ha sforzato troppo, ha chiesto troppo a se stesso. Fosse rimasto ricoverato, la ferita si sarebbe rimarginata in tempi più rapidi e probabilmente non sarebbe successo tutto questo».
«Ma lui è testardo e impaziente»: Federica non parla più al passato. «Lui è fatto così, fa sempre di testa sua. Ha le sue idee e non gliele cambi. Era impossibile chiuderlo in clinica anche soltanto per 15 giorni. Sabato mi ha detto: tra una settimana torno quello di prima. Invece eccoci qua».
Federica è chiusa a casa del compagno Luca Marin ad Arbizzano, un paese poco fuori Verona verso la Valpolicella, tra i vigneti del Recioto e dell'Amarone. Alberto Castagnetti abitava poco distante. Ieri mattina con gli altri atleti è andata nel centro nuoto federale di Verona ma nessuno si è tuffato in acqua. «Abbiate un po' di discrezione», ha mormorato Federica ai giornalisti. Nessuna voglia di parlare. Nel pomeriggio invece rompe il silenzio e scende da sola nel parcheggio sotto casa di Marin. Jeans, maglietta, giubbotto blu, un foulard annodato al collo, un paio di occhialoni neri. Una cascata di parole per ricordare e recriminare.
«È un momento molto difficile, strano, una situazione complicata. Sinceramente non mi vengono nemmeno le parole. La mia vita è cambiata nel giro di qualche minuto». Perché nulla lasciava presagire una morte così repentina. «L'intervento al cuore era andato bene. L'ho visto venerdì mattina in piscina, poi l'ho sentito sabato pomeriggio, mi sembrava in netta ripresa, stava molto meglio. Mai avrei potuto pensare una cosa del genere. Sono sopravvenute complicazioni che non immaginavamo. Era venuto da solo, aveva guidato lui, camminava sulle sue gambe. Lunedì mattina ha avuto l'ultima medicazione». Poi la tragedia. «Luca e io siamo stati tra i primi a saperlo l'altro pomeriggio. Abbiamo chiamato subito Isabella (la compagna di Castagnetti, ndr) che piangendo ce lo ha confermato».
I ricordi sono mille. I più recenti sono i più belli: i campionati di Roma. «Un sogno sportivo e umano». Non c'è un particolare che prevale sugli altri: «Per quattro anni ho vissuto con lui tutto il giorno tutti i giorni. Ma Alberto rimarrà sempre con me, fisicamente non lo vediamo più ma lui è un immortale».
E adesso? «Andrò avanti a nuotare - garantisce Federica -, mi pongo gli stessi obiettivi che avevamo deciso insieme, cioè Londra 2012. Mi allenerò anche da sola, se necessario». Già, il futuro. La Pellegrini non ne parla volentieri perché sa che trovare un altro Castagnetti è impossibile. «Prima che il mio allenatore, Alberto era una grande persona. Protettivo. Adesso sarò davanti a tutti senza protezione, senza punto di riferimento.
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