Roma - È la mannaia che ci aspetta in fondo alla strada. È il vampiro che ci succhia le vene del collo. È l’uomo nero che ci atterra in silenzio. È, insomma, l’attacco sferrato alla vita, mentre le cose, intorno a noi, fanno tremare le vene e i polsi, come spiegava benissimo Dante, che di inferni se ne intendeva. Ma avere paura, a noi italiani, avvezzi al thriller quotidiano del dovercela fare ad ogni costo (e che costi, dal pane alla verdura!), decisamente piace. Come rivela un dato economico che riguarda 30 giorni di buio, il principe dei film horror diretto da David Slade e tratto dal fumetto omonimo, creato da Steve Niles e Ben Templesmith.
Un prodotto per giovani e giovanissimi che lunedì ha incassato - secondo i dati Cinetel - 81.514 euro, piazzandosi subito dietro a Caos calmo, primo in classifica, con 103.386 euro sonanti al box-office. Ma la classifica giornaliera rimarrebbe fatto tecnico, se non la si valutasse all’interno d’un quadro medio, più sintomatico d’una tendenza in atto: l’horror d’autore si impone sul mercato e convince. Se la cosiddetta «media copia» di 30 giorni di buio, infatti, prodotto dalla Ghost House Pictures di Sam Raimi, maestro del terrore, che presto dirigerà il thriller soprannaturale Drag Me to Hell, ha superato il film morettiano (497 euro contro i 345 di Caos calmo) c’è qualcosa che va. E che si chiama voglia di terrore. Firmato, però.
Già l’astuto zampino di Sam Raimi e l’idea di trasporre sul grande schermo un fumetto conteso da varie case di produzione, come 30 Days of Night, faceva prevedere una ciambella col buco. Poi, l’idea vincente di puntare non sui soliti vampiri che sembrano usciti da una vecchia passerella gay, bensì su moderne macchine mangiatrici, nate soltanto per divorare esseri umani, mentre l’isolata cittadina di Barrow, in Alaska, resta avvolta dalle tenebre per trenta giorni, ha fatto il resto.
Il look urbano di quelle creature contemporaneamente fisiche e aliene, che non parlano la lingua dell’uomo, se non per avvisare come esse non sentano puzza di Dio, mentre fanno scorrere molto sangue, contiene un quid di ultraterreno, subito apprezzato dal pubblico. Per tacere dell’abolizione, finalmente, d’ogni dicotomia mostro-uomo, che nei prodotti analoghi condizionava il rapporto tra razza umana e razza predatrice, con appesantimento narrativo e strascico pseudofilosofico. Nell’horror, interpretato da Josh Hartnett (fa lo sceriffo, che indaga su certi strani fatti, come la distruzione dei cellulari o la barbara uccisione di numerosi cani), Melissa George (è sua moglie Stella) e Ben Forster (lo Straniero), si arriva alla mente dello spettatore per via subliminale. Intanto, ogni giorno incontriamo svariati esseri umani spaventosi, neanche stilizzati dal cinedesign...
Questa nuova propensione all’horror da noi è emersa in gennaio, all’apparire di Halloween-The Beginning, film girato da Rob Zombie sulla scia del noto Halloween, la notte delle streghe (di John Carpenter). Anche tale rivisitazione del personaggio di Michael Myers, psicopatico che uccide brutalmente compagni di scuola e familiari, indossando una maschera da clown (per il classico «dolcetto o scherzetto»?), da una parte allarma, dall’altra semplicemente riflette, in chiave splatter, una realtà sempre meno rassicurante e, per ciò stesso, da esorcizzare attraverso pellicole sanguinarie. A sigillare il rinnovato interesse per situazioni di grande impatto, è arrivato anche Cloverfield (dall’inglese: «campo di trifogli»), film di fantascienza diretto da Matt Reeves e che si apre, sullo schermo, con il marchio «Proprietà del Governo degli Stati Uniti», a indicare come gli spettatori stiano osservando una «memory card» del video del caso Cloverfield, trovato nell’area di Central Park. Il resto delle riprese, poi, costituisce il nucleo del film, che sembra girato dal punto di vista di un cineamatore.
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