Ultimamente John Elkann ha più guai che aiuti di Stato. Ieri, mentre stava preparando le valigie per gli Stati Uniti, il giudice per le indagini preliminari ha disposto per lui l'imputazione coatta per il caso dell'eredità Agnelli: è accusato di «dichiarazione infedele e truffa ai danni dello Stato» sul caso della residenza di nonna Marella, un'altra di famiglia che se ne andò dall'Italia. Come ha detto una persona che conosce bene la dinastia, «alla fine lasceranno a Torino solo due croste di Canaletto».
Comunque. Ieri a regolare i conti con John Elkann che l'altro giorno ha spergiurato di non voler vendere la Juventus, ripetendo la stessa cosa che diceva di Repubblica due mesi fa è arrivato anche Carlo Verdelli, l'ultimo direttore del giornale ai tempi del gruppo L'Espresso: «La nuova gestione Elkann mi licenziò in un giorno. Mi diedero dieci ore per lasciare la redazione». Ora. È vero che andò peggio alla Stampa, dove nello stesso giro di ore arrivarono Massimo Giannini e la Cuzzocrea; ma lì John Elkann uno che trasuda cinismo da ogni sorriso - dimostrò al meglio il suo modo di essere pessimo. D'accordo che «Chi paga, comanda», con buona pace della favoletta della libertà di stampa; ma c'è modo e modo.
E a John manca tutto dell'Avvocato, a partire dallo stile, persino peggio dei suoi look.E per il resto, è vero che i figli non sono mai come i padri e i nipoti come i nonni. Ma neppure i fratelli fra di loro. E alla fine si scoprì che a John, persino Lapo, l'abbacchio degli Agnelli, gli dà una pista.