Laura Verlicchi
da Milano
Cina «guerrafondaia», promozione allestero trascurata, supereuro, mancanza di provvedimenti a favore delle imprese: le cause sono tante. Il risultato è uno solo: la sofferenza del sistema tessile-abbigliamento italiano, che non è ancora riuscito ad agganciare la tanto auspicata ripresa. Così anche il 2005 si chiuderà, come i tre anni precedenti, con un calo di fatturato: 41,3 miliardi, in discesa del 2,9% rispetto al 2004, secondo le stime elaborate per la presentazione di Pitti Immagine. E i segnali di lieve recupero che arrivano dallexport negli ultimi mesi non bastano a rasserenare il settore.
Altro dato preoccupante, la crescita delle importazioni: e qui la media finale, più 5%, non rende giustizia alla realtà di questo «annus horribilis», il primo dopo la fine dellaccordo Multifibre che ha aperto, anzi spalancato le porte ai prodotti made in China. Soprattutto nel primo semestre, limport ha raggiunto cifre senza precedenti: per alcuni prodotti lincremento è stato addirittura del 2.500 per cento. Contemporaneamente, si sono registrate flessioni dei prezzi medi comprese fra il 24 e il 94%: una sfida alle leggi di mercato. Risultato finale: dalla Cina dipendono i due terzi delle importazioni italiane di abiti da donna e il 50% di quelle di pantaloni, t-shirt e reggiseni.
Una situazione che laccordo del giugno scorso tra Bruxelles e Pechino ha mitigato, ma non cancellato: per fare un esempio, limport degli abiti femminili a luglio è cresciuto «solo» del 620 per cento. «Stanno facendo una guerra e vogliono conquistarci», ha detto - non troppo metaforicamente - Gaetano Marzotto, presidente di Pitti Immagine, raccogliendo il grido di dolore del made in Italy.
Controffensiva possibile? LUe deve fare la sua parte, ma anche il governo, quantomeno promuovendo meglio la nostra produzione allestero: «Cè bisogno di maggiore coordinazione tra ministeri e Ice» ha detto Paolo Zegna, presidente della Federazione imprese tessili e moda italiane. Anzi, ha detto poi alla Camera di commercio italo-cinese, la Cina non va demonizzata perché potrà diventare in futuro «il più grande mercato al mondo. Un luogo nel quale prima ci entriamo e meglio sarà per tutto il nostro settore produttivo».
Un fatto è certo: a soffrire di più è il settore medio-basso, per il quale la delocalizzazione, secondo Marzotto, resta lunica terapia possibile. Alta gamma e lusso invece vivono un momento di crescita, tanto che, come ha affermato lad di Valentino, Michele Norsa, «è possibile che a fine anno i dati di settore siano migliori delle proiezioni, attestandosi più o meno sui valori del 2004».
Un auspicio confortato dai dati che arrivano dalle manifestazioni organizzate da Pitti Immagine, tutte in crescita sia come espositori che come compratori.
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