Roma - Il lato oscuro di «Svendopoli» si chiama edilizia popolare. Se da una parte ci sono i Vip che hanno potuto acquistare a prezzi di favore immobili di pregio nel centro storico di Roma, dall’altra parte, spesso trascurati, ci sono gli inquilini delle case popolari, in periferia e con il solito maledetto problema di far quadrare i conti a fine mese. Il pletorico programma dell’Unione aveva persino dedicato un intero capitolo al «problema-casa». Ma nel corso di un anno e mezzo di governo che cosa hanno fatto Prodi & C. per trasformare le parole in fatti? Poco.
La Finanziaria. Due commi della legge di bilancio sono dedicati alla questione, ma entrambi destinano risorse per il biennio 2008-2009 e non per l’anno in corso. In particolare, il 340 stanzia 100 milioni di euro su due anni per le zone franche urbane del Mezzogiorno. Il 1154 prevede che nel biennio si spendano 60 milioni di euro per un piano straordinario di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata. In ogni caso, con 160 milioni di euro non si può costruire granché: poco più di una decina di palazzi.
La legge sfratti. La legge 9/2007 dello scorso febbraio è l’unico esempio di provvedimento ad hoc. Ma si tratta di un blocco degli sfratti esecutivi fino al 15 ottobre 2008 per gli alloggi di proprietà diffusa e fino al 15 agosto 2008 per le case professionali previdenziali. Il costo è di 63 milioni di euro per i benefici fiscali a favore dei proprietari degli immobili. L’articolo 4 rimanda la questione edilizia popolare a un tavolo di concertazione.
Il tavolo «Casa». Il tavolo di concertazione sulle politiche abitative, coordinato in primis dai ministri Di Pietro e Ferrero, ha svolto i suoi lavori tra aprile e maggio di quest’anno. Vi hanno partecipato Regioni, Comuni, associazioni di inquilini e della proprietà immobiliare. Il documento elaborato al termine della discussione è una lista della spesa che va dallo sblocco dei fondi previsti dalla Finanziaria allo stanziamento di risorse per i programmi regionali immediatamente cantierabili fino alla riduzione dell’Ici sulla prima casa. Al di là di una risoluzione bipartisan in commissione Ambiente alla Camera e di un generico impegno nel Dpef tutto langue in attesa della prossima manovra. Sempre che Tps sia disposto ad allargare i cordoni della borsa.
Di Pietro all’attacco. Il ministro delle Infrastrutture, al quale spetta il coordinamento sulla materia, ha individuato un fondo inutilizzato da circa 250 milioni bloccato dal 1991. Con quella cifra Di Pietro intende finanziare il programma «Contratti di quartiere 3», ovvero interventi per il recupero di aree degradate. C’è un problema: il ricorso al Tar delle Regioni che avevano protestato contro le graduatorie stilate dal precedente governo Berlusconi. Il ministro aspetta il pronunciamento della magistratura amministrativa per aggiornarle.
A macchia di leopardo. Nel frattempo Regioni e Comuni procedono in ordine sparso. C’è chi sigla accordi con il governo come Liguria e Toscana. Il presidente Burlando ha siglato a marzo un co-finanziamento da 46,3 milioni per i «Contratti di quartiere 2», mentre il presidente Martini ha ottenuto 50 milioni ad aprile per cinque città. C’è poi chi fa da sé come il Comune di Milano che ha avviato un piano-casa da 9mila alloggi da 1,5 miliardi. O come la Regione Lazio che ha messo a concorso 250 milioni (150 dei quali destinati a Roma) per l’assegnazione di mutui agevolati a imprese e cooperative per la costruzione di alloggi.
«Non c’è una lira». «La verità è che il governo non ha più una lira perché ha requisito 5,9 miliardi di euro di avanzi di amministrazione di Comuni e Province che li avrebbero destinati per il 95% in investimenti». È la denuncia di Osvaldo Napoli (Fi), vicepresidente Anci.
«Ci impediscono di risolvere il problema perché chi meglio di noi conosce la situazione a livello locale» e con l’associazione dei Comuni fuori dai tavoli istituzionali per protesta sarà più difficile sciogliere il nodo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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