Altolà di Russia e Cina: niente ultimatum all’Iran

Gian Micalessin

La parola d’ordine alla Lancaster House di Londra, ieri pomeriggio, è solo una: sanzioni. Le pretende la ritardataria Condoleezza Rice con ancora addosso la polvere irachena, le chiede la padrona di casa, il segretario di Stato britannico Margaret Beckett, le invoca persino l’elusivo ministro degli Esteri di Parigi Philippe Douste-Blazy, protagonista di quel tradimento francese ed europeo che un mese fa lasciò Washington con il cerino acceso in mano. Ora tutto è finito.
Javier Solana mandato da Francia ed Europa a condurre un’impossibile trattativa dell’ultimo minuto è rimbalzato contro il muro di gomma alzatogli davanti dal negoziatore Alì Larijani. Stufo di rompersi le ossa e perder la faccia s’è arreso, ha ammesso la sua sconfitta davanti al Parlamento europeo. Ora l’unica strada è quella del Consiglio di Sicurezza, quella delle sanzioni. Anche leggere, anche moderate, anche delicate, ma sanzioni. Ma tra il dire e il fare e c’è di mezzo l’oceano che, sul nucleare iraniano, contrappone Russia e Cina a Stati Uniti ed Europa. Quell’oceano rende difficile decidere subito. Cina e Russia non vogliono sentir parlare di ultimatum. Né a se stessi, né all’Iran. Anche un sì sulle sanzioni riviste e corrette richiederà qualche giorno. Fino alla settimana prossima, insomma, non si caverà un ragno dal buco. Le differenze emergono già dalla prontezza con cui i rappresentanti dei 5+1 - i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza più la Germania – aderiscono all’appuntamento londinese. Mentre Condoleezza, Margaret e monsieur Philippe sono pronti ad agire subito, Cina e Russia nicchiano tenendo in sospeso la partecipazione del proprio ministro degli Esteri. Alla fine, però, l’ultima ad arrivare è proprio la Rice bloccata a Bagdad da un guaio al suo aereo. Nell’attesa, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il suo omologo cinese fanno capire di non esser arrivati a Londra con un’adesione automatica e scontata in tasca.
La solita musica, insomma, suonata da mesi dai due grandi protettori di Teheran e dei suoi piani atomici. Mosca è il principale rifornitore di tecnologia nucleare (oltre che di armi) della Repubblica Islamica. La Cina è uno dei principali acquirenti, con domanda in crescita, del greggio iraniano. L’unico piatto in grado di smuoverli è una vellutata di sanzioni, un programma di misure punitive ristrette e selezionate, insufficienti, in ogni caso, a trasformarsi in un intervento armato. Ai due recalcitranti invitati di Russia e Cina viene dunque proposto di aderire a un embargo sulla tecnologia nucleare e missilistica destinata all’Iran e di appoggiare la messa al bando di tutte le personalità iraniane coinvolte nei progetti nucleari. Il tutto non sotto la regolamentazione dell’articolo 7, capace di portare all’intervento armato in caso di mancato rispetto delle imposizioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma del ben più blando ed elastico articolo 41. Quella vellutata di sanzioni non serve sicuramente a fermare i piani di Teheran. È utile innanzitutto a sbloccare la situazione, a far adottare una posizione unitaria alla comunità internazionale. È un primo passo per arrivare alla meta, fin qui irraggiungibile, del voto di misure punitive da parte del Consiglio di Sicurezza. Russia e Cina non sono disposte a cedere tanto facilmente. «Alcune nazioni vogliono imporre sanzioni, noi pensiamo si debba continuare nell’azione multilaterale… fino a quando tutte le possibilità della diplomazia non saranno esaurite, le sanzioni resteranno una mossa estrema, dobbiamo spingere l’Iran a negoziare» ripete per l’ennesima volta il ministro degli Esteri russo Lavrov. Da Mosca il suo vice Alexander Alekseyev ricorda, anche a nome della Cina, che tentare di mettere Teheran con le spalle al muro può essere controproducente. «La posizione dei nostri due Stati coincide, consideriamo assolutamente inammissibile non solo l’uso della forza, ma anche la minaccia sull’uso della forza».

Tanto impeto nel ribadire il niet a un intervento armato serve forse a far capire che Mosca e Pechino potrebbero, in capo a qualche giorno, dire di sì alle sanzioni «disarmate» e vellutate messe a punto alla Lancaster House.

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