Le scosse si susseguono e gli esperti ormai parlano di sciame, riconoscendo come altamente probabili nuovi scrolloni. Tutti, inevitabilmente, corriamo con la memoria all’Aquila, dove la gente ricorda settimane di avvertimenti prima dell’apocalisse finale.
Sperando che stavolta gli avvertimenti non avvertano di nulla, in queste ore va segnalata una cosa molto più preoccupante dello stesso terremoto: l’assoluta leggerezza con la quale lo affrontiamo. Mi riferisco a scuole ed edifici pubblici, naturalmente, perchè ciascuno in casa propria è libero di fare quello che vuole. L’abbiamo già sperimentato giorni fa, con le prime scosse del mattino: da tutte le località del Nord Italia interessato, testimonianze opposte. La scuola di mio figlio ha rimandato tutti a casa, la scuola del mio invece ha tenuto tutti dentro.
A me questa cosa ha stupito molto, diciamo che mi ha gettato nel più profondo sconforto: improvvisamente, apprendiamo che in caso di sisma la vita dei nostri figli è nelle mani, o nelle lune, o nella sensibilità del singolo dirigente scolastico. Il prudente, l’apprensivo, il fifone, o anche solo chi preferisce eccedere in scupoli, fa subito evacuare l’edificio, a scanso di brutte sorprese. Duecento metri più in là, magari in una scuola più vecchia e più malmessa, il dirigente sicuro di sè, o superficiale, o incosciente, o fatalista, lascia invece che la paura passi e poi diffonde il suo tranquillizzante messaggio: niente panico, era una scossa minima, tutti al proprio posto.
Bisogna gridarlo chiaro e forte: “niente panico“, questo genere di dirigente scolastico, lo può dire eventualmente a sua sorella, non ai figli nostri. Mi chiedo come sia possibile affidare i destini di tante vite, in circostanze fuori dal nostro controllo, all’arbitrio dei singoli. Lo dico da genitore, ma anche da italiano: almeno sui terremoti, con le esperienze che abbiamo, non ce la possiamo cavare con lo stellone.
Parlo con Antonio Morelli, presidente dell’Associazione vittime di San Giuliano, e sappiamo bene di quali vittime: “Passano gli anni, passano le catastrofi, ma siamo ancora fermi all’improvvisazione. Mi sembra il minimo, mi sembra puro buonsenso: alla prima scossa, è buona norma uscire in strada. Calcoli pure che nessuno conosce bene lo stato di salute dei nostri edifici pubblici: anche per questo, eccedere nella prudenza è doveroso. Perchè dopo, come stiamo sperimentando noi a San Giuliano, non si sa mai di chi sia la reponsabilità...“.
Ascolto il comandante provinciale dei vigili del fuoco di Bergamo, Daniele Limonta: “In casi simili, anche se la percezione del pericolo dipende molto dalla diversa sensibilità di ciascuno di noi, è meglio far evacuare gli edifici pubblici. Può apprire eccessivo, ma siamo di fronte ad eventi naturali di cui non possiamo conoscere l’evoluzione“.
Può apparire eccessivo, ma va fatto. Se poi il terremoto si placa senza danni, potremo riderci sopra. E comunque l’esperienza varrà come esercitazione pratica. Ma bisogna uscire: subito, tutti. Affidarci al libero estro del singolo preside è una follia. Se questa è la regola folle, bisogna cambiarla al più presto. E’ urgentissima. Il professor Monti, prima di mettere mano all’articolo 18, metta mano a questa faccenda. Serve poco, solo un’indicazione: quando la terra trema, tutti in strada. Non si aspetta, non si discute, non si improvvisa. Telefonare ai vigili del fuoco, o in prefettura, per sapere che aria tira è sempre una buona cosa, anzi doverosa: ma si fa dal cortile, in sicurezza. E magari prendendoci pure in giro per le nostre facce sbiancate. Però tutti sani e salvi.
Se proprio vuole, il preside leggerone è libero di restarsene dentro. Solo, con il suo fatalismo. Ma giochi con la sua vita, non con quella dei nostri figli.
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