Traffico a tutte le ore e strade popolate da cumenda trafelati e signore che corrono in impeccabili tailleur: sono solo alcuni degli stereotipi con cui frequentemente viene descritta Milano, la capitale economica dell'Italia. Un'immagine indirettamente confermata anche da una recente indagine della Camera di Commercio: negli ultimi quattro anni nella nostra città si è registrato un vero e proprio boom dei cibi pronti e di quelli precotti.
In altre parole i milanesi, forse perché troppo impegnati sul fronte professionale, si dimostrano molto pigri tra i fornelli e il pasto veloce, pronto in un giro di microonde o consumato al tavolino di un bar, sta inesorabilmente soppiantando il tradizionale convivio. Rispetto al 2004 infatti, gastronomie, friggitorie, rosticcerie, take away sono cresciute del 54 per cento, così come le aziende dedite alla produzione di surgelati e cibi in scatola. Le imprese attive in questo settore tra Milano e provincia sono 263 e rappresentano il 35 per cento del totale lombardo.
Se quello dei cibi pronti resta il settore trainante, la crescita tocca però tutta la produzione alimentare: le imprese attive sono oltre 3.600 e sono aumentate del 10 per cento rispetto al 2004, arrivando a rappresentare quasi un terzo del totale regionale (31,4 per cento). I risultati migliori si segnalano tra le attività dedite alla produzione di birra (il 50 per cento in più rispetto al 2004), alla lavorazione e conservazione di carne e prodotti a base di carne (il 28 per cento in più rispetto al 2004, ma dalla crescita restano escluse le macellerie), alla produzione di gelati (più 19,6 per cento).
Per quanto riguarda l'interscambio di prodotti alimentari Milano conferma la sua vocazione internazionale: gli ultimi dati segnalano un incremento del 5.4 per cento rispetto al 2006 e il giro d'affari sfiora i 4 miliardi di euro.
Il dato veramente sorprendente però, è che la dieta made in Milan, in apparenza poco gaudente e per nulla godereccia, piace moltissimo all'estero. Cresce, infatti, l'export di prodotti alimentari (più 9 per cento nell'ultimo anno) diretto soprattutto verso l'Europa (87 per cento delle esportazioni) e gli Stati Uniti (il 6 per cento delle esportazioni). Ad apprezzare le nostre «specialità» alimentari sono soprattutto i francesi (17.2 per cento delle esportazioni), gli svizzeri (15.4 per cento) e i tedeschi (13.2 per cento).
La tendenza «carne in scatola» e verdure surgelate (da alternare all'arancino unto della friggitoria), insomma, si allarga a macchia d'olio e a chi apprezza le grandi tavolate, magari seguite dal sonnellino pomeridiano, non resta che consolarsi con un piatto di risotto e ossobuco e un bicchiere di vino rosso, in attesa di tempi migliori.
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