Cultura e Spettacoli

Altro che pessimisti e seriosi. I due Leopardi erano degli insospettabili burloni

Uno studio approfondisce un aspetto poco noto dei due scrittori: il padre Monaldo e il figlio Giacomo si divertivano a produrre testi falsi in italiano trecentesco. Facevano a gara, cercando di far cadere l'altro nella trappola dell'inganno

Pochi nomi della nostra letteratura come quelli di Monaldo e Giacomo Leopardi appaiono, nell'immaginario collettivo, lontani da qualsiasi idea di gioco, burla o scherzo, dotto o no che sia. Eppure...
Eppure, (ri)leggendo le loro opere e la loro biografia, si scopre che i due Leopardi, padre e giglio, furono falsari per gioco, e per di più in appassionata gara tra di loro. Ad esempio: il «Martirio dei Santi Padri», scritto in italiano trecentesco nel 1826 da Giacomo Leopardi, all'epoca ventottenne, fu spedito alla famiglia come se fosse un testo autentico; mentre il padre, il conte Monaldo Leopardi, confezionò falsi trecenteschi, come il «Memoriale di frate Giovanni da Camerino» (del 1828), inviandoli al figlio poeta come se fossero l'opera di un religioso marchigiano del Trecento.
Il difficile rapporto tra padre e figlio, forse il più famoso di tutta la letteratura italiana, è stato indagato e approfondito attraverso un episodio poco noto anche al pubblico colto: la competizione ingaggiata tra i due sul piano della contraffazione di testi medievali, con il tentativo reciproco di far cadere in trappola l'avversario.
A raccontare con dovizia di particolari e novità questa semisconosciuta vicenda dei falsi medievali del grande poeta di Recanati e di suo padre (che aiuta peraltro ad alleggerire quell'aria di pessimismo, angoscia e tentazioni «reazionarie» che si respira ogni volta che si entra in casa Leopardi) è il libro in due tomi «Giacomo e Monaldo Leopardi falsari trecenteschi» (Olschki editore) di Sandra Covino, professoressa di linguistica italiana presso l'Università per Stranieri di Perugia, autrice di saggi ed edizioni sulla storia della linguistica e della filologia nell'Ottocento italiano.
Nel suo studio Sandra Covino propone l'edizione critica del «Martirio dei Santi Padri» (che presenta rilevanti novità per quanto riguarda l'apparato critico, rispetto ai precedenti delle edizioni di Moroncini del 1931 e di Benucci del 2006), e il «Memoriale di frate Giovanni da Camerino», la miscellanea in finto marchigiano trecentesco con cui Monaldo ingaggiò con il figlio una competizione dai risvolti complessi e affascinanti. L'approfondita analisi linguistica e testuale di Covino dedicata alle prove mimetiche di Giacomo e Monaldo Leopardi, e di altri scrittori ottocenteschi, mette in luce i tratti arcaizzanti più ricorrenti nella «grammatica dei falsi» e i motivi di interesse che le contraffazioni offrono allo storico della lingua italiana.
L'opera «Giacomo e Monaldo Leopardi falsari trecenteschi» inquadra i falsi medievali dei due autori nella più ampia cornice delle contraffazioni testuali ottocentesche, indagandone aspetti linguistici, precedenti storici e moventi ideologici. Attraverso il tema dell'arcaismo e delle falsificazioni testuali, Sandra Covino mette a fuoco la dialettica fra tradizione e innovazione in una fase cruciale della storia linguistica italiana ed i legami fra cultura italiana e cultura europea in un'epoca pervasa dal «mito delle origini». «In quel contesto, manipolazioni e mistificazioni - spiega Sandra Covino - costituirono un nuovo modo di rapportarsi al passato, ispirato da istanze e problematiche decisamente attuali.

In Italia, in particolare, la produzione di falsi letterari fu stimolata dall'acceso dibattito sulla questione della lingua e dal contrasto tra l'attaccamento alle tradizioni locali e la tensione risorgimentale verso un'identità comune».

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