Ancelotti, una sconfitta che sa di addio

L’Udinese non fa sconti e il Milan non aiuta il tecnico sotto processo: il ko diventa una doppia resa. Il futuro: "Io voglio restare ma non posso farlo a dispetto dei santi. E devo parlare con il santo..."

Ancelotti, una sconfitta che sa di addio

nostro inviato a Udine

Lasciate che i tifosi dell'Inter vadano per strada a sollevare il loro tricolore. Lo scudetto arriva per demeriti altrui, dei rossoneri scivolati in Friuli, non in calce alla prova di oggi col Siena che è pura accademia. Lasciate inoltre che i tifosi del Milan meditino su questo improvviso calo di tensione e di attenzione dei loro beniamini, lanciati fino a due settimane prima verso una improbabile rimonta sfiorata, accarezzata. Ancelotti deve spiegare più che a Berlusconi, il presidente insoddisfatto, a tutti noi questa caduta libera della squadra, già avvertita contro la Juve a San Siro e a Udine, ieri sera, diventata ancora più preoccupante. È come se si fosse esaurito il carburante nel serbatoio, il gioco è tornato involuto e la condizione di forma di alcuni suoi assi - Pirlo, Kakà, Seedorf, Pato, Maldini - d'improvviso è precipitata. Lo stretto 2 a 1 non testimonia i meriti dei friulani, in vantaggio su rigore da calcetto: appena hanno guadagnato il comodo 2 a 0, si sono lanciati in spericolati contropiedi mai completati per eccesso di foga e mancanza di precisione. La reazione del Milan, con Inzaghi, Ronaldinho e Shevchenko, il meglio dell'artiglieria schierata nella ripresa, non è degna di menzione: Kakà si desta con un assist ad Ambrosini nel finale, Pato è da prendere a sberle, Seedorf idem, Pirlo incapace di dettare cadenze serrate. La conseguenza è quella che tutti conoscono: sconfitta meritata, scudetto all'Inter e secondo/terzo posto tornato in ballo.
Ancelotti s'avvicina alla sfida che può decidere il fine settimana e la festa dell'Inter tricolore con una frase simbolica e chiarificatrice: «Vorrei restare ma non resto a dispetto dei santi e in settimana sentirò il santo». Come per dire: non sono io che vado via, Berlusconi mi dirà se devo togliere il disturbo. Nel frattempo il Milan non sembra affatto compreso della condizione del proprio allenatore e regala la solita prova, scialba e inefficace, a ritmi lenti, quando i suoi geni sonnecchiano al pari di Omero. Per esempio è il caso di Kakà, autore di una stilettata (su lancio ispirato di Pirlo, uno dei pochi della frazione) deviata da Handanovic sulla sirena del primo tempo, per esempio è il caso di Seedorf mai al servizio effettivo della collettività, per esempio è il caso dello stesso Pirlo, autore di una serie di grossolani errori nei lanci che sono la sua specialità. Tutto il resto (attacchi inefficaci, Pato imbottigliato, manovra lenta e prevedibile) ne è la conseguenza naturale. L'Udinese, invece, fida nella corsa sciolta oltre che nella necessità di dover tenere il passo della Roma e può esprimere le cose migliori in velocità (Pepe-Quagliarella, parata a terra di Dida) oppure sull'intuizione di D'Agostino che libera in area Floro Flores alla mezz'ora in punto. Nella circostanza Maldini, in recupero, lo sfiora appena (mano sul petto) e l'arbitro Rizzoli, ingannato, assegna il rigore ai friulani trasformato dal suo specialista in odore di trasferimento all'Inter.
La serata del Milan diventa ancora più complicata subito dopo l'intervallo e l'ingresso di Inzaghi (al posto di Flamini) va ad aggiungersi all'attacco inconsistente: al primo angolo, causa anche il "buco" di Maldini e Pippo sulla palla alta, Zapata, lasciato libero sul secondo palo, può tranquillamente firmare il raddoppio e incanalare la sfida verso un tranquillo approdo. Rialzare la testa, nonostante i successivi interventi di Ronaldinho e Shevchenko, per il Milan risulta una missione impossibile. È buio pesto, a Udine, per il vecchio Milan che sembra arrivato, complessivamente, al capolinea di una lunga stagione, fatta di trionfi internazionali e anche di inquietanti black-out. Come quello di ieri sera, seguito a una striscia positiva di ben nove risultati utili (2 pareggi e 7 successi). Con quella frenata di ieri sera mette a repentaglio anche il raggiungimento del 2° o 3° posto: la Fiorentina, numeri alla mano, può ancora rimontare. E perciò nessuna vacanza supplementare di tre giorni promessa in cambio di un eventuale successo.

Le battute finali, a risultato scolpito, regalano un bel concentrato di emozioni: il palo di Inzaghi, il gol di testa di Ambrosini, il palo di Quagliarella. A dimostrazione che l'Udinese, sesto sigillo consecutivo, non si ferma più.

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