Laura Cesaretti
da Roma
Più che il Foglio, potè il Corriere: alla fiaccolata pro-Israele convocata per domani dal quotidiano di Giuliano Ferrara è arrivata ieri anche ladesione di Massimo DAlema: «Certo che andrò. È uniniziativa giusta», annuncia il presidente dei ds.
Giusta e sentita, tanto che, tiene a far sapere, «per essere presenti abbiamo cambiato il programma del seminario con i Democratici americani, fissato per venerdì dalla Fondazione Italianieuropei». DAlema ha scelto il canale di Repubblica per comunicare la propria decisione, in unintervista che suona come risposta (assai piccata) alleditoriale di lunedì del Corriere della Sera, firmato dal vicedirettore Pierluigi Battista. Editoriale nel quale si coprivano di elogi «il coraggio politico e lonestà intellettuale» del prode Piero Fassino, fino a concedergli il perdono per «lepisodico cedimento a intemperanze umorali» (compresa lultima furibonda sfuriata contro Paolo Mieli e i suoi giornalisti), per la scelta di aderire alla manifestazione, tanto più lodevole in quanto si scontra con le «coriacee sacche di ostilità anti-israeliana» annidate nel suo stesso partito, e non «in aree marginali e culturalmente periferiche», bensì «in componenti essenziali» della sinistra, «in settori influenti e determinanti» della Quercia. Mancava solo che si citassero i baffi dalemiani per completare lidentikit. Una classica sviolinata a nuora Fassino perché suocera DAlema intendesse. E la suocera ha inteso, e replicato per le rime: «Guardi, io e il mio partito ci battiamo da anni per il diritto allesistenza di Israele. Ed io sono così anti-israeliano che dieci anni fa, unico leader italiano in quel periodo, sono andato in visita allallora premier Netanyahu, per ragionare sulle prospettive della crisi mediorientale». Altro che «coriacea ostilità», insomma: anche il presidente ds sarà in piazza a sventolare la stella di David.
Caso DAlema a parte, la manifestazione ferrariana, indetta per rispondere ai deliri anti-semiti e agli appelli alla distruzione di Israele che arrivano dallIran, si è rapidamente trasformata in una sorta di spartiacque tra la sinistra che sceglie di stare «senza se e senza ma» con lunico stato democratico del Medioriente, e chi continua a preferire la kefiah palestinese. A restare fermo nel mezzo, per non irritare né gli uni né gli altri, è Romano Prodi. Che si dice «offeso» dalle parole del capo del governo di Teheran, ma alla fiaccolata finora non ha aderito. Qualche defezione si apre invece nella sinistra radical, quella della kefiah: Pietro Folena (ex ds ora con Bertinotti) ci andrà perché «quando si tratta di manifestare contro le affermazioni bestiali che arrivano da uno dei regimi più pericolosi del pianeta, non è il caso di piantare paletti politici». Ci sarà anche Luciano Violante, gran fautore del dialogo con gli ayatollah che oggi però chiede ai parlamentari di Teheran che aderiscono insieme a lui al «gruppo di amicizia italo-iraniano» di «correggere radicalmente» le affermazioni del loro premier, altrimenti le relazioni saranno «gravemente pregiudicate».
Un altro caso lo apre Francesco Rutelli, che lancia la proposta di «una mozione parlamentare, sottoscritta auspicabilmente da entrambi gli schieramenti, che getti con estremo rigore le condizioni» dei rapporti tra Italia e Iran. Di mozioni con Berlusconi, «subalterno a Bush», non se ne parla neanche, insorge il Pdci: «Rutelli cerca solo una motivazione in più per mettere in difficoltà l'alleanza di centrosinistra», dice Marco Rizzo. Si può fare, fa invece finta di aprire Rifondazione, ma solo a patto che sia «rigorosamente contro la guerra» e non solo contro lIran.
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